Con la mia malinconia e le mie mancanze instauro quotidianamente un legame profondo, fatto di affetto e di visite reciproche.
Questi incontri mi regalano la sensazione di stare bene anche senza orpelli relazionali e di sentirmi avvolta da quella condizione di crepuscolare e profonda intimità con me stessa, zone buie incluse.
Da quel luogo silenzioso e profondo vista inconscio, amo trarre energia, introspezione, parole che diventano prepotentemente scritti e che trasformano il buio in luce.
Il silenzio e la solitudine, che hanno come effetto collaterale quello di portare dipendenza, la scrittura, la natura e gli animali – persone poche, pochissime e non sempre – mi regalano una sensazione di vibrante benessere.
In questi luoghi del cuore imparo a distinguere ciò che è essenziale da quello che non lo è (nel tempo il secondo aumenta in maniera esponenziale).
Così, oggi, mentre strigliavo i miei dolcissimi animali riflettevo sulla potenza degli ossimori del cuore.
Quelli che dimorano indisturbati dentro di noi. In alcune fasi della vita sono più marcati, in altre più sfocati.
Talvolta accade di sentire il bisogno di condividere la vita con un alto essere umano – i più fragili più d’uno – e allo stesso tempo desiderare una solitudine assoluta.
Il cuore nella sua unicità è un ossimoro perfetto: piange di felicità, sorride nel dolore, soffre quando ama, si sente pieno nella mancanza, si scopre vivo quando ha paura di morire.
Ci insegna che si può sentire nostalgia di qualcosa che non è mai accaduto.
Che possiamo tenerci stretti anche quando ci lasciamo andare.
E che l’amore non è logico, ma semplicemente vero.
Il cuore è la contraddizione più autentica che abbiamo, dovremmo ascoltarla e averne cura, sempre.
E forse, proprio per questo, è l’unico luogo in cui vale la pena perdersi.
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