Ipotetica lettera rivolta a sé stessa e ai suoi tanti oggetti. Ho immaginato di prestare la mia penna a una mia ipotetica paziente donna che non riesce a liberarsi degli oggetti inutili e polverosi, e del suo passato che le offusca la vista e il cuore.
Caro passato, cara me stessa,
caro oggetto inutile,
ti scrivo in mezzo al silenzio di una stanza piena.
Piena di cose, ma vuota di luce, di aria e di futuro.
Mi guardo in giro per casa e scorgo oggetti sparsi dappertutto: appoggiati sui mobili, dimenticati, ignorati, accumulati come se potessero ancora raccontare chi sono stata e cosa sono stati per me.
Ma voi, cari oggetti inutili, non parlate, non mi ascoltate e in fondo non mi servite più. Vi spolvero ma avete già smarrito la vostra anima, il vostro ruolo nella mia vita. Siamo diventati estranei da tempo e intanto siete ancora lì, come un marito che non si ama più, ma che rimane in casa.
Mi ostinavo a tenervi con me perché “potreste servire, non si sa mai“, ma non servite più, ormai da tempo. Non mi piacete nemmeno più, siete così distanti dalla le che sono diventata.
Siete lì, muti, ingombranti, ad accumulare polvere e spazio.
La vostra anima risiede nel ricordo di ciò che siete stati, non nell’inutile possesso postumo e polveroso. Sono certa che passerete a miglior vita in un’altra casa, tra altre mani e sopra altri mobili.
Quante volte, caro oggetto inutile, ti ho comprato per sentirmi meglio, per consolarmi, perché in quel momento avevo un buco nel cuore e pensavo, sbagliando, che tu avresti riparato le mie voragini. Eppure la felicità che mi regalavi era effimera, volatile, a termine, come sarebbe dovuta essere la tua vita con me.
Quante altre ti ho comprato per tentare di raddrizzare una giornata ostile o per lenire un’assenza.
Quante altre ancora ti ho conservato per ricordo, senza chiedermi nemmeno se quel ricordo valesse davvero la pena di restare con me, dentro di me, sotto la mia pelle stanca.
E quante volte ho confuso il possedere con il vivere? Tante.
Adesso che sono profondamente diversa, vedo tutto in maniera più chiara.
Cari oggetti inutili, pesate anche se siete leggeri, usurpate mobili e pareti, armadi e cassetti, ripostigli e giardino, luoghi che potrebbero ospitare tanta luce e tanto spazio libero: i miei arredi preferiti.
Giorno dopo giorno mi accorgo che c’è una forza potente nella sottrazione, negli spazi liberi, ordinati, vuoti, luminosi.
Che liberarsi dell’inutile è come spalancare una finestra dopo anni di aria stantia, come togliere le erbacce, le ragnatele, la puzza di muffa, come incontrasi con sé stessi.
L’essenziale ha il grande potere di alleggerirci. Di restituirci tempo, spazio, luce, respiri che allargano i polmoni. Ci insegna che non è nel possedere tante cose che misuriamo il valore della nostra vita, ma nella presenza reale di chi, più che ciò, vogliamo al nostro fianco.
Nella scelta consapevole di tenere a bordo solo ciò che nutre, che serve, che emoziona, che ha ancora un senso.
Liberarsi dell’inutile è un atto rivoluzionario, di chiaro coraggio. L’essenziale non è spogliarsi del tanto, ma avere di meno e sentirsi più felici.
Sto imparando a dire addio alle cose che non mi somigliano più, che non mi parlano più, a cui non ho più niente da dire.
Cari oggetti inutili vi auguro una vita altrove, senza di me.
Con affetto e tanto coraggio.
Chi ha piacere di ricevere i miei scritti e video in e-mail, può iscriversi in maniera gratuita alla mia newsletter settimanale e al mio canale YouTube.
Chi ha una questione di cuore da raccontarmi e gradirebbe una breve risposta può scrivere qui.

2 Commenti. Nuovo commento
Cara Dottoressa
Grazie per queste belle parole, le sento mie. Sono circondate da tanti oggetti a cui non faccio più caso. Ma so bene che provengono tutti da un’ansia di vivere che ho colmato con gli oggetti perché era ed è ancora il modo di compensare gli affetti che mi mancavano,
Io sono quella che compra on Line se è di cattivo umore, che gira per mercatini delle pulci e compra addirittura cose che aveva già in passato o racimola pezzi di vite altrui per aggiungere decori, storie e ricordi alla mia.
Che ha paura delle stanze vuote e dell’assenza di un oggetto appiglio al passato perché il vuoto non mi appartiene, la luce accecante che potrebbe contenere non mi interessa e in fondo va bene così. Non importa se a volte soffoco, ricomincio altrove a riempire…
Grazie a Lei per essersi raccontata. Le auguro tante stanze vuote e un cuore al caldo.