Abissi e risalite. L’amore per la scrittura

Cara dislessia,
eravamo piccole, e già tanto intime.
Come quando ci si fidanza da bambini, per pudore ed inesperienza, l’una non sapeva dell’esistenza dell’altra.
Crescevo e sentivo il peso di questo legame.
Ero goffa, impacciata.
Stavo sempre un passo indietro rispetto alla classe, facevo di tutto per non leggere in pubblico.
Leggevo male, e scrivevo peggio.
Una vergogna senza fine.
Venivo rimproverata perché etichettata come una bambina svogliata, poco attenta, distratta, insomma, la vera pecora nera di casa.
Ma, nessuno, dicasi nessuno, aveva capito di cosa si trattava e delle fatiche immense che facevo ogni giorno per studiare.
Con tante fatiche, strategie e soluzioni fatte in casa, andavo avanti.
La mia compagna di banco e di vita, si chiamava “dislessia”.
La mia – ormai eravamo davvero intime – dislessia, veniva quotidianamente obbligata a scontrarsi con la mia perseverazione, anzi, testardaggine.
Non mollavo mai, studiavo sempre, senza sosta.
Avevo imparato ad auto correggermi, stava diventando quasi un automatismo.
Tutto era molto faticoso, e quando ero stanca o triste, la mia dislessia tornava prepotentemente a farmi compagnia.
Passavano gli anni – tra bigliettini attaccati sul muro, note scritte praticamente ovunque, registrazioni di me stessa, e chissà cos’altro – quando arrivò finalmente il computer a far parte della mia vita e della mia scrittura.
Adesso c’era il dr. W. (Word) che finalmente si occupava di me.
Mi correggeva.
Mi urlava in rosso i miei sbagli.
Era autorevole, gentile, sapeva sempre tutto, e non si assentava mai.
Insomma, potevo contare su di lui.
La mia dislessia torna ancora a farmi compagnia, quando sono triste o stanca.
Ma io ho trasformato la mia crepa in risorsa, l’ho riparata con un filo d’oro come fanno i giapponesi con i vasi rotti.
La mia mente adesso sa giocare con lei.
Quando leggo male, storpiando una parola, mi correggo quasi subito, ma quella parola – atipica, strana, bizzarra, che forse si interseca con quote del mio inconscio irrisolte o dolenti -, rimane dentro di me, risuona e vuole essere ascoltata, fino a quando non si trasforma in uno scritto, o in una parte di esso.
Dietro ogni abisso, c’è sempre un’opportunità.
C’è chi parla con le carezza, e chi accarezza con le parole.
Ho scelto la prima modalità per le persone che amo profondamente, e la seconda per il resto del mondo.

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