Amori senza fine. L’esercizio di autodifesa psichica

L’amore annebbia, rende ciechi, scava solchi invisibili che non sempre conducono alla luce.
Quando si decide di accompagnare alla morte un amore sarebbe utile ricordarne il passato per evitare di smarrire i suoi contenuti e le note dolenti che hanno fatto da colonna sonora a quel legame.
Quando un amore muore, solitamente, si è trattato di un amore prudente, di un amore che non ha avuto la forza di sfidare il vento o di andare contro vento.
Così, lasciarlo andare via, diventa un esercizio di autodifesa psichica: un allenamento per tutelare se stessi.
Nella terra del dopo, bisogna ricordare quello che è stato e quello che non sarà, quello che avremmo voluto e non c’era, e quello che mai ci sarebbe potuto essere essere.
Quando si approda nella terra del dopo, non c’è più il prima e nemmeno l’adesso, con il rischio di sentire la mancanza di se stessi insieme al proprio prima.
Durante il difficile cammino dal prima al dopo, può succedere che il cambiamento spaventi e che il cuore voglia voltarsi indietro per riabbracciare il passato.
È un cuore provato, fragile e ferito, e soffre di una malattia grave: la malattia dei ricordi.
Esistono tre percorsi da poter intraprendere: il tanto abusato ma vano chiodo scaccia chiodo, il passo del gambero, uno avanti e due indietro, e il cammino solitario verso il futuro, assaporando il presente.
Un amore deceduto non va rinnegato, mai, va riposto al sicuro in un luogo sicuro dove poterlo andare a trovare ogni tanto, scorporandolo dalla carica emozionale.
Soltanto così il passato può davvero illuminare il cammino verso il futuro, tracciando una linea invisibile tra la sofferenza e la speranza.

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