Quando oggi sarà ieri potremo tornare a baciarci e ad abbracciarci. A sorridere con le labbra nude, a metterci il rossetto, a camminare l’uno accanto all’altro, ad andare a teatro e al cinema, a partire e anche a tornare. A fare quello che ci piace, quando ci piace e dove ci piace. Spensierati e affiatati.
Liberi da certificazioni e semafori, da zone cangianti e da virus mutanti, forse, ci riapproprieremo della nostra vita, con la segreta speranza di trovarla più o meno simile a quella che abbiamo lasciato.
La paura diventata angoscia ci ha fatto compagnia a lungo. Abbiamo interiorizzato parole nuove come autocertificazione, confinamento, zona rossa, coprifuoco, congiunto. Abbiamo respirato aria viziata dalla mascherina e dalla paura. Abbiamo rinunciato a chi amiamo per proteggerlo dal nostro fiato. Ci siamo sentiti degli untori e siamo stati messi in guardia dagli untori. E poi ci sono gli asintomatici! Esseri umani apparentemente sani ma potenzialmente infetti e infettanti, l’apoteosi dell’ansia e della diffidenza.
Il tutto in attesa del dopo.
Quando finalmente saremo smascherati e liberi dovremo fare i conti con la memoria del corpo e del cuore: quella banca di ricordi e paure che ci ha fatto compagnia a lungo.
E se quando finisce tutto rimaniamo distanziati? Spaventati? A un metro da ogni altro essere umano.
Se quando ci stringeranno la mano ci verrà voglia di disinfettarla subito dopo? E ci rimarrà la sgradevole sensazione della paura del contagio?
Uno degli effetti collaterali del perdurare della paura è quello di abituarci ad avere paura. Come quando ci si abitua ai sintomi e dopo non se ne può più fare a meno.
Io continuo a dare l’acqua ai sogni e a sperare che al mio risveglio tutto svanisca, esattamente come un brutto sogno di cui farò volentieri a meno.

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