Caro Sig. Grillo,
vorrei raccontarle qualcosa di un mondo che non solo non sembra conoscere, ma anche screditare.
Ogni mamma che ha un appuntamento con la vita, accarezza con la fantasia il bambino che ancora non c’è.
Emozionata e grata.
Esiste un bambino che abita solo nelle sue fantasie e nel suo cuore, e un bambino che nasce.
Così, quando sarà fuori dal suo utero ma mai dal suo cuore, farà amicizia con lui, lo guarderà con immenso amore nel tentativo di vedere a chi somiglia.
Accarezzerà il suo profilo con un dito e lo terrà tra le sua braccia, aspettando che cresca, con l’unico scopo di vederlo sano, felice, autonomo.
Questo legame di anime però non riesce ad arginare alcuni sgambetti della crescita che, in clinica, si chiamano ritardi.
Ritardi nel parlare, nel camminare, nell’abbracciare un genitore quando rincasa, nel poter togliere un pannolino e transitare all’autonomia.
Ritardo che dopo tanto affanno e tante pene diventano una diagnosi infausta: autismo.
Adesso, caro Sig. Grillo, ci sarà una mamma, un papà, il bambino e l’autismo, e le assicuro che non sarà una passeggiata per nessuno di loro.
Le catastrofi, talvolta, grazie all’amore, diventano opportunità.
Le sembrerà strano, ma in un momento storico in cui la bellezza, la prestanza fisica e verbale, l’essere performanti e forse petulanti, regnano sovrane, un figlio autistico non è solo rabbia o vergogna, ma un dono.
Un figlio disabile, non omologabile, da scoprire e con cui sintonizzarsi nel profondo “oltre le parole” – talvolta anche ” oltre le carezze” – può anche diventare un esercizio di empatia e sensibilità.
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