Quello di un elefante pesa ventotto chili, abita nel suo petto e un po’ nel mio, sin da quando ero bambina.
Quello di un innamorato abita in gola, fa su e giù e segue le turbolenze anomale delle sue emozioni. Ogni tanto si ferma per un eccesso di passione o per paura di perdere la persona amata, e poi riparte. Più forte e intemperante di prima.
A volte segue percorsi in salita e si trasferisce tra le labbra. Quelle affamate e morbide. Quelle che non dimenticano. Quelle che contengono il nome della persona amata, e niente più.
Quando la vita ti ferisce o ti punisce, lui si sposta e precipita giù nelle viscere. Lo senti in pancia, pesante e pulsante, e sembra non avere nessuna voglia di tornare in petto.
Ci sono delle volte, forse più di alcune volte, che duella con il cervello. Queste sono le battaglie più dure e faticose, intrise di dubbi e di biscotti. Di paure e di cioccolato. Di tanto ieri e poco domani.
Smette di sentire e comincia a pensare. Spera di capire con la ragione quello che invece dovrebbe solo sentire a occhi chiusi. Ha paura, deraglia, si attorciglia su sé stesso, e poi riparte. E quando riparte diventa più forte di prima.
Altre volte esige di essere consegnato alla persona amata, con la segreta speranza di ricevere il suo in dono. Talvolta può capitare che più che un baratto questo scambio ricordi un riscatto.
Il rapporto con la fiducia è direttamente proporzionale ai suoi battiti. Può capitare che la fiducia vacilli e il cuore smetta di battere; così, improvvisamente, credi di non averlo più. Di avere al suo posto un buco, una pietra, un cratere, il peso del nulla.
Può anche capitare di incontrare la vertigine, la mancanza di controllo, l’incontro, lo scambio e il cuore abita nuovamente in petto. Ben centrato. Un po’ spostato a sinistra, ma stabilmente presente nella tua vita, in barba al cervello.
Quando lo hai sentito una volta vorrai sentirlo ancora e ancora.
Diventi esigente, intransigente. Non ti accontenti. Sai bene cosa non fa più bene al tuo cuore. Alcune volte nonostante gli impegni profusi, non lo senti più. Lo cerchi, lo osculti, gli parli, ma lui è in cautelativo letargo.
Così, per sentirlo ancora, ti stordisci di sport, di chilometri e sudore, e sposti l’asticella verso l’impossibile.
Ma ti accorgi che per sentirlo ancora non devi rischiare di morire, ma rischiare di amare ancora.

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