Il destino sentimentale di ciascuno di noi incombe sulle nostre teste da quando veniamo al mondo.
Il compagno delle elementari, bello e sfuggente, che ci spezza il cuore. L’adolescente allergico ai legami e ribelle, che ci rende zitelle e che regala notti insonni e mal di pancia al posto dei fiori. E che, nonostante tutto, mette la sua bandierina sul nostro cuore, spazzando via ogni possibile rivale.
Sino ad arrivare al famigerato incontro: l’orco, il narcisita o il principe azzurro.
Il destino sentimentale affonda le sue radici nella nostra infanzia.
Dipende da un’infinità di fattori, uno dei quali è la “dote affettiva” che riceviamo in eredità, insieme alla coperta di Cantù delle nostre nonne, e che traslochiamo dentro la coppia.
Questa dote comprende se e come siamo stati amati e accuditi, nutriti e adeguatamente protetti – in psicologia si chiama base sicura -, supportati, non solo sopportati, e sostenuti.
Se la nostra autostima è stata concimata come una pianta rara o se ci hanno appicciato addosso l’etichetta di pecora nera o di brutto anatroccolo. A me, in realtà, fanno una gran simpatia entrambi, ma questo è un altro discorso.
Man mano che cresciamo ci rendiamo conto che ci manca tutto: bisogni primari e cure, che se non sono stati soddisfatti a priori, nella relazione madre bambino, ci renderanno il cammino verso la dimensione amorosa adulta decisamente impervio e zoppicante.
Sino a che, quello tutto ciò che manca diventa il veri nemico di una vita di coppia longeva e matura. Quindi, passato e presente, e direi anche futuro, dipendono tutti da quei luoghi lontani: i luoghi dell’infanzia.
Luoghi misteriosi pieni di caverne e sottopassaggi, di oasi per soste ristoratrici e riparatrici, e trappole ancora in agguato. Averne cura e andarli a trovare di tanto in tanto, può rappresentare una strategia salva vita e salva vita di coppia.

P.S: l’unico mezzo di traposto per andare a fargli visita è la psicoterapia

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