Il ponte di Genova, cronaca di una morte annunciata

Metafora di un cammino, di un collegamento tra passato e futuro, di un percorso stabile con un inizio ed una fine.
Il ponte.
Non è previsto che cada, che si frantumi mentre lo attraversi, che traballi o che esploda.
Quando si costruisce un ponte – con i pensieri, quello che fa camminare i sogni, o di cemento che conduce da una parte all’altra – bisognerebbe farlo con scrupolosità e perizia, armati di responsabilità e rispetto per chi si troverà ad attraversarlo.
Bisognerebbe effettuare quell’indispensabile manutenzione per far sì che i sogni, che sono desideri, diventino realtà, e che l’asfalto non si crepi al sole, inghiottendo i passanti.
A quanto pare anche il ponte di Genova
aveveebbe avuto bisogno di un tagliando salute, così come molti ponti infranti della vita.
Quando attraversi un ponte e ti lasci alle spalle il passato, anche in amore e nella vita, devi avere la certezza che il cammino da funambolo ti conduca dall’altra parte.
Sempre.
Non puoi rischiare di rimanere sospeso nel vuoto, di schiantarti al suolo, o di pensare di attraversarlo con la rete di protezione.
La fiducia nelle istituzioni che vigilano, nei politici che avallano le leggi, nei nuovi amori che ti tendono la mano dall’altra parte del ponte, non può mettere a repentaglio la tua vita o quella dei tuoi cari.
Mai.
I ponti cuciono gli strappi, si comportano come se fossero delle cerniere, annullano i vuoti e creano un varco, avvicinano chi è distante.
Non uccidono chi li attraversa.

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