Tornano a Sanremo, confondono, non vengono compresi subito.
Il loro testo è un testo a lento rilascio: entra pian piano sotto pelle e scava un solco profondissimo. I Modà cantano la depressione di un addio. La raccontano. La interpretano. Cantano il male oscuro, quello di cui sarebbe meglio non parlare, occultare, tacere. La condividono con chi può capirla, con chi la conosce e riconosce.
Cantano del buio che occupa tutte le stanze della vita. Dell’abbandono subito, ma anche voluto. Del cuore squadernato. Chiedono gradualità a un addio.
Cantano, tra le righe, di quella paura che attanaglia, del cuore che batte talmente tanto da impedire ogni azione. Raccontano dell’ansia che paralizza, della vita che perde di sapore e di odore (Kekko ha sofferto di una buia depressione che lo ha portato lontano dal palco per anni).
E poi parla della bellezza della fine. Del rispetto e della gratitudine che si dovrebbe sempre avere per chi abbiamo amato e da chi siamo stati amati.
Cantano di medicina e di malattia, di parti psichiche dell’uno e di parti psichiche dell’altro: della magia e della dannazione di una relazione.
Non è una canzone per tutti, anche se dovrebbe esserlo. È una canzone da ascoltare con il cuore spalancato e vibrante, pronto ad accogliere la diversità e l’inquietudine che c’è nella sofferenza emotiva.
Chi non avrebbe voluto un bicchiere con dentro un ricordo o un tramonto per stemperare l’addio e l’abbandono?
L’idea del regalo di addio, forse, mi piace di più del regalo di fidanzamento.
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