Chi vive in campagna lo sa. Il legame che si crea con la terra è forte e profondo. Si sceglie di vivere lontano dal cemento e dalla fretta, incorniciati da cielo e terra.
E poi ci sono loro: gli animali, le piante e gli alberi.
Quando tutto ebbe inizio le piantai con cura; mi feci consigliare da chi le conosceva bene: da un genitore, un giardiniere anziano, un nonno, da chi sapeva come sceglierle e soprattutto accudirle nel tempo del dopo.
Iniziai a vivere con loro. Stagione dopo stagione – della loro e della mia vita -,foglia dopo foglia, ramo dopo ramo, frutto dopo frutto. Le guardavo crescere: si facevano albero, si facevano siepe, si facevano frutto. La loro presenza mi difendeva da occhi indiscreti, dal caldo, dal vento, dal mio stesso cattivo umore. Le guardavo e come per incanto facevo pace con il mondo e con me stessa. Erano diventate la mia seconda pelle, il muro di recinzione della mia casa e dei miei affetti.
Ogni sera le innaffio con i piedi nudi sul prato per diventare un tutt’uno con la mia terra. Penso, rifletto, respiro, rassetto i pensieri grazie a un rituale lento e puntuale, quasi ipnotico.
Ogni mattina intravedo il cielo. Ha forme sempre nuove perché si incastona tra i rami fitti e quelli neonati, sempre diversi, della mia siepe preferita.
Lei, la siepe, cambia colore in inverno per diventare verde smeraldo in primavera e striata di rosso in autunno. Non è mai banale, e se la sai ascoltare ha sempre qualcosa da dirti mentre ti ascolta paziente.
Ti insegna la forza e la pazienza, la costanza e il futuro. Lei cresce, non si ferma, lenta e costante. Si nutre di terra e di sottosuolo e si scalda abbracciata dai raggi del sole cocente siciliano. La mia siepe era lunga e spessa, folta e compatta. Profumava di vita e d’amore, il mio. Quello profuso per far sì che diventasse così grande e coraggiosa.
Era diventata un santuario, il mio muro senza muro. Il ponte levatoio verso il cielo.
Pensavo di lasciarla a mia figlia, a chi verrà dopo di me.
E invece, d’un tratto, la mia siepe preferita si ammala. Chiamo il dottore delle piante e la diagnosi non è chiara.
Succede, mi dice. Mi chiedo cosa avrei dovuto o potuto fare e non mi do nessuna risposta. Le chiazze di giallo si allargano a vista d’occhio, e ramo dopo ramo, si spogliano di verde e di speranza. Tutto diventa secco, arido. Una vera desolazione e devastazione. Mi sento impotente, non so cosa fare.
Non pensavo di provare un così tanto dolore per una siepe. Non mi resta che sfogliare i ricordi, insieme alle foglie morte, e ricominciare.

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