La sofferenza e la ripetizione della sofferenza. In amore e nella vita

Tra i due mali scegli il minore. E se non ne sceglissimo nemmeno uno e scegliessimo il benessere?
La vita sembra essere un duello continuo tra la ricerca del benessere e la paura dei cambiamenti.
Tra il passato e il futuro. Tra i sintomi e la loro sedazione o compensazione. Tra gli amori tossici e il timido tentativo di trovare un amore sano. Tra l’immobilismo difensivo e il cambiamento che atterrisce.
Talvolta, a causa di contorti meccanismi della psiche, continuiamo a farci del male anche quando sappiamo bene dove risiede la sofferenza, e dove risiederebbe quello che potrebbe farci stare bene.
La forza distruttiva sembra prevalere sulla voglia di vivere.
Quando amiamo male, per esempio, stiamo male, ma continuiamo a farlo.
Senza sosta e senza pietà. Un partner dopo l’altro. Una sorta di copione comportamentale ed emozionale che si ripete e si ripropone immodificato, contro la nostra volontà.
Veniamo mossi da istanze oscure – che chiamiamo destino, scelte sbagliate, eventi casuali della vita, uomo sbagliato al momento giusto – che muovono le fila degli amori malsani, delle scelte collusive e inconsce, della rovina del cuore.
Eros e thanatos, rispettivamente istinto di vita e di morte, si intrecciano tra di loro e creano un movimento antitetico che incanta e seduce, ma che inchioda all’immobilismo psichico.
Questi due principi contrapposti regolamentano la vita psichica di tutti noi, e fanno a gara tra di loro per destabilizzarci, soprattutto quando ci ritroviamo a vivere un momento di fragilità del cuore.
Siamo abituati a cercare il colpevole, o meglio il responsabile del nostro malessere, fuori da noi.
In realtà, il nemico del nostro benessere non sempre abita fuori da noi, spesso lo abbiamo in casa.
Il nostro peggior nemico siamo noi stessi.
Oscilliamo tra coazione a ripetere, quel meccanismo drammaticamente potente e prepotente che ci fa fare sempre le stesse cose pur facendoci stare male, e la voglia di guarire.
Il desiderio di stare bene si alterna alla paura del cambiamento; come se avessimo un legame affettivo con i nostri sintomi, con i nostri amori sbagliati.
Imbrigliati all’anestesia del vivere.
Il cambiamento alletta ma atterrisce. È faticoso e destabilizzante, seduce ma fa tremare le gambe.
Così, l’immobilismo, diventa una sorta di Eden nel quale rifugiarci.
Quindi, caro cambiamento, sei sempre il benvenuto.

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