Credo di essermi ammalata di telegiornalite. Ogni sera, in religioso silenzio e trepidante attesa, accendo la televisione.
Ascolto il telegiornale e mi sento invasa, anzi oserei dire inzuppata di brutte notizie. Di dati allarmanti. Di sciagure imminenti. Di catastrofi in corso. Di chiusure totali o intermittenti. Di minacce di chiusura. Di coprifuoco. Di lockdown (termine che detesto!) natalizio, e adesso anche “morbido”.
Le mie ansie da mamma e da professionista diventano una marea africana e mi impediscono di dormire. La pandemia è diventata una presenza costante nella nostra vita, ma nonostante ciò, nessuno, dicasi nessuno, si occupa della nostra salute psichica. Nessuno si impegna ad adoperare le parole giuste per dirlo: meno catastrofiche, più umane.
Un popolo che è psichicamente sano si ammala di meno. È provvisto di un sistema immunitario che resiste ai duri colpi della vita e del virus. È un popolo più responsabile, e responsivo. Un popolo spaventato, anzi atterrito e bombardato da un costante terrorismo psicologico, è un popolo fragile che deraglia e che si angoscia, che mette a repentaglio la sua ed altrui vita.
Gli sbagli, anche involontari, sono figli della paura e dei messaggi ambivalenti, non soltanto della noncuranza.
Sembra proprio che siamo obbligati a scegliere tra povertà e salute: vivi e poveri, ammalati e ancora lavoratori.
Ma della salute psichica, assolutamente indispensabile per non diventare poveri e ammalati, nessuno se ne occupa. Ci stiamo impegnando tutti nel tentativo di mantenere il nostro equilibrio psichico. Tra paure e ansie, onde anomale del quotidiano sprovvisto di futuro, attacchi del virus e restrizioni claustrofobiche, resistiamo coraggiosamente agli esiti della pandemia.
Se ogni tanto – anche una volta a settimana, ci accontentiamo di poco – un telegiornale o qualche premier comunicasse in maniera più affettuosa e meno tortuosa, forse staremmo un po’ meno male.

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