L’infanzia, il fotografo e la profanazione

Ero al mare, e avevo deciso di non lavorare e di non scrivere, rapita dal mio nuovo libro, dai miei pensieri e dalla compagnia di mia figlia.
Quando, all’improvviso, una scena o forse una scenografia mi si è organizzata davanti agli occhi.
Un fotografo era stato chiamato da due giovani genitori per immortalare le loro due bambine: quattro e sei anni circa.
Le bambine in costume e in riva al mare, tra secchielli e castelli in costruzione, non avevamo nessuna voglia di fare da modelle. In posa e ferme.
Inseguivano granchi e spontaneità nel tentativo di trasportare il fotografo nei loro giochi da bambine.
Mentre lui voleva fare il contrario: trasportare la loro infanzia nel mondo degli adulti. E per di più autorizzato dalla connivenza dei genitori.
Così, i genitori, con la regia del fotografo spiegavano alle bambine le pose che avrebbero dovuto indossare.
Maliziose, ammiccanti, non consone alla loro età.
Un pericoloso scimmiottamento del comportamento di una donna adulta, consapevole delle sue movenze e dell’effetto di queste su un pubblico adulto.
Sguardi ammiccanti, fianchi sculettanti, e aste degli occhiali da sole tenute soltanto con due dita con uno sguardo sensuale dal basso verso l’alto.
Per proseguire con sorrisi ammiccanti, parei in prestito e svolazzanti, piedi maliziosamente incrociati a pelo d’acqua, e tutto ciò che può servire per elicitare fantasie adulte in un adulto.
Le bambine, da bambine, per l’appunto, non eseguivano nel migliore dei modi le indicazioni, e non riuscivano a indossare gli abiti della malizia che sembravano più una profanazione della loro infanzia che la possibilità di immortalare un momento.

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