Maggio travestito da novembre e il ricordo-coperta

Novembre, nella mia vita, è stato il mese della perdita. Il mese in cui mio padre si è trasferito altrove per non lasciarmi da sola nemmeno per un istante.
Era novembre, era il ventitré, era ieri, ma è come se fosse oggi.
Questo mese di maggio travestito da novembre è un mese che mi riporta indietro nel tempo, che mi ammanetta al ricordo.
È un mese instabile, che ci fa desiderare il calore del sole sulla pelle.
Che improvvisa il nostro modo di abbigliarci e ci rende ridicoli.
È il mese degli acquazzoni imprevisti invece della primavera. È il mese dei mal di gola al posto dei sandali. È il mese che incarna l’instabilità del cielo e anche del cuore.
Questo atipico mese di maggio non ci consente di fare il cambio dell’armadio e di trasferire in soffitta, unitamente ai vestiti invernali, anche i cattivi pensieri della stagione passata, inebriandoci di vita e di voglia di nuovo.
Ho un ricordo nitido che accompagna tutte le mie giornate e che decide di non staccarsi da me.
In realtà è un ricordo-coperta.
Un ricordo che mi abbraccia e mi scalda. Che mi consola e mi rassicura.
Che riacciuffa i miei ricordi per evitare che diventino oblio.
Un ricordo che mi porta in un luogo di qualche anno fa, dove ancora potevo stringere la mano all’Uomo che mi ha messa al mondo.
Era novembre.
Il mese di novembre in Sicilia è ancora caldo. È intriso del caldo abbraccio della nostra estate africana.
Era un mese senza mezze misure, senza acquazzoni, con poche foglie rosse che diventano gialle, e che indossano con orgoglio il loro colore grazie al calore del nostro sole siciliano.
Era il mese in cui mio padre rientrava a casa dopo un intervento al cervello.
Era il mese della convalescenza. Delle lacrime e della speranza. Dello sconforto e della merenda condivisa. Dei silenzi pieni d’amore, e degli sguardi parlanti.
Era il mese delle parole che accarezzano e del caffè d’orzo pomeridiano, diventato da lì a breve un rituale d’amore. Nella tazza solo nostra, uguale per entrambi, c’era il profumo dell’orzo caldo e delle rassicurazioni, sempre identico, ogni pomeriggio. In quella tazza c’era l’abitudine, la speranza, l’abbraccio e la cura. Nel mio orzo di adesso c’è il ricordo che diventa conforto, ogni pomeriggio.
Era il mese della sua stanza da letto trasferita in soggiorno, e delle letture di riviste di barche per farlo navigare ancora nel ricordo di quando navigava davvero. La domenica mattina lo aiutavamo a sedersi in terrazza in modo che potesse guardare il suo amato giardino, e insieme a lui fantasticare sulla possibilità vana di rifiorire.
Amava sentire i raggi del sole caldo e discreto sulla sua pelle, e amava sentirsi ancora vivo.
Amava, con la dolcezza e il garbo che lo hanno sempre contraddistinto, spostarsi da un posto all’altro della terrazza per seguire il sole, esattamente come i Malavoglia di Verga.
Quei raggi che lo accarezzavo e che lo scaldavano, gli regalavano l’illusoria sensazione che per lui ci sarebbe stata ancora un po’ di vita.
Così, con sguardo grato di chi ti ringraziava in silenzio perché ti stavi occupando di lui, ringraziava anche il mese di novembre per questo sole inaspettato e ancora caldo.
Ecco, questo mese di maggio travestito da novembre, mi strappa alle mie giornate, e mi riporta li.
Al sole tiepido di novembre. Il mio ultimo novembre insieme a lui.

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