Un covo di lesbiche e il calcio

Lesbica. Sostantivo femminile con una vaga connotazione negativa che definisce una donna omosessuale.
Covo. Rifugio o nascondiglio per animali selvatici.
La parola covo, però, evoca nella nostra mente un altro covo. Quello di vipere: un luogo di malignità e di insidiosa maldicenza.
Le donne che giocano a calcio hanno ricevuto in dono tanti appellativi affettuosi, uno tra i quali: covo di lesbiche.
Ed è quello che mi è rimasto in mente e nel cuore.
Tra le cattiverie più cattiverie che ci siano, la ghettizzazione sessuale delle giocatrici di calcio imperversa ovunque.
Non si sa per quale motivo le donne calciatrici debbano essere omosessuali, e i calciatori maschi, invece, immuni da omosessualità.
E non si sa perché sia così importante l’orientamento sessuale di chi gioca a calcio. Non mi è chiaro se è un’aggravante o un elemento distintivo.
Abbiamo osannato donne nuotatrici, tenniste, astronaute, ma calciatrici proprio no, è più forte di noi.
Non si sa per quale altro motivo, inoltre, le donne che calciano un pallone, tra l’altro, amabilmente, infuriano gli animi, i social, i tg. Offendendo la memoria storica del calcio.
Eppure, volgendo uno sguardo alla donna nella storia, abbiamo superato la negazione del diritto al voto, al divorzio, al lavoro, all’aborto, persino alla guida dei taxi in Arabia; ma il calcio rimane nell’immaginario maschile e collettivo, o collettivo e maschile, di pertinenza esclusivamente del maschio.
Gay o etero, non importa, purché sia di sesso maschile.

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