Essere padre oggi, tra retaggi culturali e fatiche

Essere padre

Quando si parla di bambini, la nostra mente va sempre alla figura materna.
Mamme acrobate che accudiscono, insonni, stanche e dolcissime.
Affannate, spesso mosse da sensi di colpa, bisognose di attenzioni, ma sempre più o meno presenti.

Il ruolo del padre

Quando si parla di genitorialità, di coppia che diventa famiglia, di bambini da cullare, di pannolini da cambiare, nell’immaginario collettivo regna sovrana l’immagine di una madre o futura madre, in dolce attesa prima e con il bambino in braccio dopo.

  • E il padre?
  • Serve soltanto da donatore?
  • Da banca del seme?

Direi proprio di no.
Si tende a dare sempre molto poco spazio alla figura paterna.
Questa dicotomica scissione tra madre che accudisce e padre che nella migliore delle ipotesi subentra in un secondo momento ha radici antiche, culturalmente e sociologicamente determinate.
Anche le indagini correlate all’infertilità venivano guidate da questi retaggi errati e inconsci.
Nella storia della ginecologia e delle indagini pro-cicogna, era la donna, in quanto portatrice dell’utero e del ventre materno, a sottoporsi a tutta una serie di indagini pre-fecondazione.
Inquisita e torturata, messa al rogo e colpevolizzata se infertile.
Solo recentemente, gli accertamenti sono stati estesi anche all’uomo e al liquido seminale. A concepimento, gravidanza e parto avvenuto, la madre e il bambino rimangono un tutt’uno: le braccia materne diventano una sorta di “abbraccio extra-placentare” ed è veramente  difficile, se non impossibile, percepirli come entità a sé stanti.

E il padre?

Questa oceanica fusione tra due corpi e due inconsci, amplificata dall’allattamento e dall’accudimento, sembra lasciare poco spazio alla figura paterna.
Papà che, solitamente, con la loro scarsa dimestichezza con i pannolini da cambiare, e con la sfera delle emozioni e della comunicazione dei sentimenti, non reclamano il giusto, sano e funzionale spazio all’interno di questo nuovo nucleo familiare. Oggi, finalmente, qualcosa sta cambiando.
Il padre, sembra essere associato esclusivamente alla sfera della virilità, del lavoro, del sostentamento economico, dell’autorità e delle regole, viene dato poco spazio, invece, all’importanza che questi assume  sin dall’inizio della vita del bambino.

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La coppia, il ruolo del padre nella maternità

Una mamma che ha appena partorito è una donna radiosa, ma stanca fisicamente e mentalmente: dal suo corpo e dalla sua mente dipende la vita di un bambino e la possibilità per lui di poter crescere in modo sano e armonioso.
Un sostegno fisico e psichico, a lei e al piccolo, da parte della figura paterna, dovrebbe essere sempre offerto e garantito.

Galimberti sostiene che la figura paterna deve rappresentare il “custode prediletto della maternità”, deve cioè far sì che la madre possa occuparsi serenamente del nascituro, sostenuta e protetta dal compagno.

Ma chi sostiene il padre, nel diventare padre?

Anticamente la figura paterna era abbondantemente ingessata, rigida, quasi anaffettiva, era correlata al ruolo lavorativo, sempre e comunque fuori casa.
I papà di oggi sono tattili, accuditivi, cambiano i pannolini, passeggiano insonni durante le lunghe notti, sbadigliando e cullando ritmicamente il piccolo, sperando che il sonno possa prendere il sopravvento al pianto.
Per le donna, diventare madre, è un percorso sicuramente più semplice, facilitato dall’ossitocina, l’ormone dell’accudimento, e dal processo di imitazione del comportamento delle loro madri e nonne.

Ma gli uomini, da chi imparano? Quali modelli di riferimento hanno da poter seguire?

Nessuno.
I papà non hanno modelli e non vengono istruiti verso questa nuova avventura che è diventare padre.
Hanno imparato sbirciando dalle loro compagne e mogli, armati di tantissima forza di volontà.
Volontà di fare, di esserci, di toccare, accudire, emozionarsi e di sentirsi parte integrante di questo nuovo nucleo familiare.

Dottoressa Valeria Randone

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