Amo scrivere e non è un mistero. Lo faccio da decenni, con fatica, costanza, imprecazioni e soddisfazioni. La scrittura è per me malattia e cura. Quando mi ammalo scrivo e mi riparo scrivendo. Lo stesso faccio con i miei pazienti: i loro strappi li traduco in parole scritte, cosi li capisco meglio,e quando sono guariti scrivo ancora per incastonare i loro successi.
Amo raccontare, romanzare – perché sono più che certa che il lettore si identifichi di più nelle storie di vita altrui che nelle diagnosi fredde e sterili -, narrare, dipingere con le parole emozioni e stati d’animo. Li osservo, li sento, gli do una cornice clinica e li traduco in parole, ed è sempre magia.
Una frase che scrivo sempre nei miei articoli è: “alcuni passaggi sono stati inventati o modificati per motivi creativi e di privacy”, perché credo che il privato del paziente, anche se narrato senza l’identità del paziente, vada sempre ma sempre protetto (anche per questo mi chiamano sempre ma sempre in televisione ma io non vado mai perché non posso e non voglio portare i miei pazienti in tv).
Poi accade che dopo tanta cura e dedizione nel raccontare una storia, qualcuno commenti in maniera banale e liquidatoria, magari non andando a leggere oltre il titolo.
“E allora? commenti? come si risolve? che succede?”
Quando leggo questi commenti che non possono avere una risposta mi sento morire dentro. Penso che la cura che ho messo nel tradurre le emozioni o i disastri del cuore e i disagi del corpo in parole, nel dare loro una cornice clinica e indirizzarli verso quella magia che si chiama cura è stato del tutto vano.
C’è chi cerca la scorciatoia, la pillola, la frase fatta o l’aforismo.
Succede questo e tu fai questo. Ti tradisce, lascialo. Ti fa stare male, bloccalo. Tua figlia fa così e tu fai questo o quello.
Il tutto è di una tristezza inenarrabile, questa volta non traducibile in prole. Dictat, toni imperativi, banalità, superficialità, le cinque mosse e le tre soluzioni da video di TikTok.
Il colloquio salva-vita dell’ultimo momento. La consulenza fatta a luglio, il tentativo di terapia di agosto. L’appuntamento evaso. Chi sparisce e non avverte e tanto ma tanto altro di molto ma molto sgradevole. Chi insiste ma poi non viene. Chi scrive, chiama di domenica, richiama ma poi non gli va bene niente. Chi ti dice, affidando al caso la sua cura: se si libera qualcosa mi chiami? Come si farebbe dall’estetista. Chi esige il clinico a km zero e chi ti chiede la consulenza online pur abitando a qualche chilometro dai tuoi studi.
Questa non è la mia professione di cura. Io faccio altro. Io sono altro.
Chi ha piacere di ricevere i miei scritti e video in e-mail, può iscriversi in maniera gratuita alla mia newsletter settimanale e al mio canale YouTube.
Chi ha una questione di cuore da raccontarmi e gradirebbe una breve risposta può scrivere qui.