Guardarlo rapisce. Cattura in maniera ipnotica. È un cibo che profuma di storia e che a dispetto di quanto si creda non è solo cibo.
Quando ha iniziato a far parte delle nostre tavole, lo guardavamo con diffidenza e anche un po’ di disprezzo. Lo comparavamo alla parmigiana della nonna, alla trippa romana, all’abbacchio e alla nostra intramontabile pizza. Quelle cose piccole e decorate piene di niente, nonché costose, sembravano una moda vana e vacua. I ristoranti, almeno i primi, sembravano luoghi di culto: eleganti e raffinati, con immagini sparse del Giappone e dei giapponesi. Sembrava una sorta di recita a copione. Poi, pian piano, il nostro modo irriverente di accostarci al nuovo è cambiato del tutto.
Adesso ne siamo profondamente rapiti e un po’ felicemente dipendenti.
Il sushi non è solo sushi.
È una sinfonia di riso, dolce e salato al tempo stesso, un ossimoro del palato, che compone quel piccolo cibo che lo ha trasformato in un feticcio. È un cibo che ha un potere sensuale, che evoca la pazienza e la cura, che in fondo sono gli stessi ingredienti afrodisiaci dell’amore.
È bello a guardarsi. Incanta la vista e strega il gusto. Si insedia nei nostri ricordi olfattivi e gustativi come se fosse una pietra preziosa. Rimane nel ricordo anche nelle terre del dopo: l’indomani, la settimana successiva, finché ci riporta da lui ancora una volta.
Ha il sapore rassicurante di una carezza morbida, di un cibo sano, senza contaminazioni.
Non è eccessivo, mai stucchevole, mai fuori posto.
Racchiude e racconta l’essenziale.
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