Le vostre storie, le mie parole.
Ho prestato la mia penna a Flavia, affetta da una malattia invisibile.
Ho quarantadue anni ma ho il cuore e il corpo di un’anziana. Sono invalida al novanta per cento. Per tutta la vita e da tutta la vita mi sono sentita dire che non era vero.
Che ero pazza. Che ero stressata. Che non ero attendibile. Che ero delirante. Che ero esagerata, nullafacente, lamentosa, insopportabile, insostenibile.
Ogni frase era una lama che aumentava in maniera esponenziale il mio dolore e la mia solitudine.
La mia invalidità in realtà non si vede a occhio nudo. Ho una di quelle maledette malattie invisibili che mi rendono doloroso e drammatico ogni movimento, dalle cose più semplici alle cose più complicate, finanche l’abbraccio di mio figlio.
Soffro di endometriosi e anche di fibromialgia.
Prima di giungere a questi due nomi drammatici e avere scritto nero su bianco che non ero pazza ma ero affetta da una malattia invisibile, sono trascorsi anni, anzi un decennio, durante i quali il mio matrimonio è andato in pezzi e il mio umore anche. Mi dicevano che ero infelice, che avrei dovuto divorziare, che ero stressata per la nascita del mio bambino; quel bambino avuto con immensa fatica, figlio della provetta e di un miracolo. Mi dicevano che lavoravo troppo, troppo poco, che mi riposavo poco, che dormivo troppo o troppo poco.
In realtà le mie viscere erano un disastro. Mi hanno dato della pazza, della scompensata psichica, avevo gli ormoni impazziti, ne avevo troppi, ne avevo pochi. Dovevo andare dallo strizza cervelli, dal prete per una benedizione, in ritiro spirituale, al mare, in collina per riposare.
La mia malattia invisibile, visibile per me, non aveva un nome. Ero in balìa di in dolore muto che nessuno ascoltava. Non essere creduta era una punizione, la situazione più drammatica e straziante che avessi mai vissuto. Io stavo male e nessuno mi dava ascolto.
Adesso, ma solo adesso, quando il mio mondo è andato in frantumi oltre ogni possibilità di riparazione, ho avuto una diagnosi.
Nefasta, ma chiara: non sono pazza, ma ammalata. Non posso più recuperare gli anni trascorsi, gli abbracci evasi, i silenzi, le lacrime copiose, i dolori lancinanti, non posso riportare a me l’uomo che amo.
Ma posso tentare timidamente di riprendere a respirare e anche a vivere.
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