La consegna emotiva è un dono e anche un danno. Raccontare a chi scegliamo di amare o di fidarci – le due cose vanno spesso insieme – il nostro mondo interiore e le nostre ferite del cuore significa consegnargli lo scettro del comando, un potere enorme: quello del sapere, del conoscere, dell’appartenenza.
Ricordate la volpe del Piccolo Principe? Disse che lei non poteva giocare con lui perché non lo conosceva, non era addomesticata e non era la sua volpe. Per fare ciò ci voleva tempo, pazienza, un legame. “Finché questo non accadrà tu sarai per me un ragazzino come tutti gli altri”, disse la saggia e selettiva volpe.
Pur sembrando obsoleta e correndo il rischio di odorare di soffitta e di muffa, amo scrivere spesso di pudore, di gradualità, di intensità e di scelte e dinieghi. Sì, scelte affettive o d’amore.
Non si può parlare con tutti e di tutto, perché il tutto perderebbe di valore. Oggi si posta il proprio privato, la nudità, i figli in fasce, le colazioni a letto, le lenzuola e tanto altro, e il confine tra pubblico e privato, anche e soprattutto del cuore, sembra essere diventato addirittura un impedimento.
Termini come amore, tesoro, caro e gioia abbondano sulla bocca di tutti perché essere intimi è più comodo che essere formali e graduali. Esattamente come la volpe che non può essere cara o l’amore di uno sconosciuto.
Il tu in una conversazione è addirittura indispensabile e il lei, il lessico dell’eleganza e della gradualità, un lontano ricordo.
Io, invece, continuo a credere e quindi a sostenere che il pudore sia indispensabile e anche afrodisiaco, che scegliere con chi parlare e a chi aprire il cuore, e a chi blindarlo sia indispensabile (ben diverso è aprirsi a pagamento con uno psicoterapeuta).
Nel mio immaginario esiste una graduatoria affettiva ben chiara: persone con cui lavoro che possono anche essere intime, familiari che possono anche non essere intimi, conoscenti, amici, amori, perfetti sconosciuti che possono anche, nel tempo, diventare conosciuti.
Il mio concedermi, raccontarmi, socchiudere prima per poi eventualmente aprire dopo la porta del mio mondo interiore e del mio cuore rappresenta un regalo, un dono, una consegna emotiva da maneggiare con cura.
Quando mi raccontano un segreto – non sempre in veste di clinico – mi reputo la depositaria di un segreto, mi sento scelta e prescelta e ritengo di essere stata eletta a destinataria di un segreto; che conosco io e non un altro. Perché se lo conosciamo tutti non è più un segreto e non ha più un valore.
In un mondo che appiattisce sempre di più, che omologa, che atterrisce e che spazza via le buone maniere, il garbo, il riserbo, la gradualità e le scelte a favore di una neutralizzazione di tutto accade anche questo.
Svelarsi a tutti, sbandierare ai quattro venti e darsi in pasto a tutti significa svenderersi pur di avere ascolto o visibilità.

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1 Commento. Nuovo commento

  • Quanto sono d’accordo!! Io fatico a non dare del Lei agli sconosciuti più grandi di me o a quelli che reputo più o meno della mia stessa età , visto che oramai di anni ne ho 48. E fatico a sentire persone che usano la parola ‘amici’ per identificare tutte le persone che frequentano!
    Io racconto molto di me alle persone, ma mai cose intime, che riservo alle mie 3 migliori amiche e solo a loro.
    Vero è che sul ‘tu/Lei’ purtroppo ogni tanto mi sono dovuta adattare, ma, facendo un lavoro per il quale devo fare colloqui, i candidati che mi danno del tu, vengono in genere mal valutati ed è raro che passino.

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