Lui, lei, otto zampe e il parco

Lui ha un meticcio e tante paure. Lei ha un Golden Retriever e tanto coraggio. E poi c’è lui: il parco. Luogo dell’appuntamento muto.
Lui, il meticcio, ha due occhi grandi e scuri e un cuore ancora più grande e profondo, ma profondamente bucherellato. Era stato adottato e il suo padrone, dal cuore bucherellato anch’egli, aveva oltrepassato il muro della solitudine e della recinzione che teneva in gabbia il quattro zampe, e lo aveva portato a casa con sé.
D’istinto. Per la prima volta si era ascoltato. Non fu subito amore, ma terrore.
Erano entrambi spaventati dalla vita e anche maltrattati, si guardavano a distanza, occupavano spazi casalinghi diversi, distanti di corpo ma vicini di vista.
Uno sul divano e l’altro sul tappeto. Uno in cucina e l’altro nei paraggi, in modo da essere visibile ma non toccabile. Quando il quattro zampe aveva paura – forse di essere ancora amato e poi ancora abbandonato – tremava, salivava e sembrava avere delle crisi epilettiche, ma in realtà era paura, tanta paura. Il loro entrare in punta di piedi l’uno nella vita malconcia dell’altro durò qualche settimana, e poi fu subito e per sempre amore.
Lei, invece, era una lei fortunata e mai abbandonata. Aveva un cuore integro e mai rattoppato. Era innamorata della vita e del suo cane. Il Golden era festaiolo e grato: non conosceva il canile, l’abbandono, l’adozione.
Era nato in casa e li era cresciuto immerso in tante coperte e dosi abbondanti e continue di amore, che lui restituiva giorno dopo giorno della sua allegra vita tra monellerie, scodinzolate festose e adorabile presenza.
E poi c’era il parco. Il luogo degli incontri, delle palle disperse e di quelle lanciate e riportate, dei bambini con tre ruote e di quelli senza. Dei fidanzati e dei ragazzi sui pattini. Il luogo dei baci.
Il parco era un luogo magico: cambiava colore di stagione in stagione. Il tempo in sua compagnia si fermava e accelerava, come quando la felicità occupa ogni centimetro di cuore. Era abbracciato da una luce onnivora, e in questa fase dell’anno iniziava a scrollarsi di dosso l’inverno per andare in contro alla primavera.
I due potenziali innamorati si incontravano tutte le sere, li, al parco. Portavano i loro rispettivi cani a sgranchirsi le zampe e a fare amicizia. Il meticcio era timoroso e cauto. A ogni rumore seguiva un tremore che lo conduceva tra le rassicuranti gambe del suo padrone. Il Golden era espansivo e anche un po’ invasivo. Giocava, saltava, occupava tutti gli spazi.
Era irruente, dominato da una forza impetuosa e contagiosa. Lei, la proprietaria, era esattamente come il suo cane. Allegra, curiosa e desiderosa di conoscere quel ragazzo così tanto misterioso e triste. Era certa, non si sa perché, che dietro quel muro e quel grigio ci sarebbe stato altro, tanto altro. Così, sera dopo sera in compagnia del suo quattro zampe, si recava lì, al parco, e aspettava.
Lui, quando terminava il suo estenuante turno di lavoro, correva a casa perché aveva un appuntamento con l’amore. Il suo meticcio che non conosceva l’orologio ma era puntualissimo, iniziava a preparare il cuore e lo aspettava sul ciglio della porta con il suo guinzaglio in bocca.
Così, sera dopo sera, parco dopo parco, palle lanciate e altre riportate, code dopo code, e sguardi dopo sguardi, è nato l’amore.
Un poliamore.
E visto che l’amore ripara tutto, anche i due passati di abbandono del meticcio e del suo padrone sembravano essere stati spazzati via dal vento caldo del sentimento nascente, oltre l’errore della paura.

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