Il tempo è affascinante e mostruoso: a volte si ferma, a volte si dilata sino all’inverosimile. Quando siamo felici o innamorati il tempo vola. Ci accorgiamo che è già sera, un altro giorno, che si è già conclusa la vacanza o l’amore della vita. Accade così, in un attimo.
Ci accorgiamo che dobbiamo ripartire, andare, tornare, lavorare, scegliere, decidere (una delle attività più complesse che ci sia).
Quando siamo preoccupati o angosciati veniamo schiacciati da un immobilismo del vivere che si fa macigno. Annaspiamo tra mille fastidi e dissidi e ci attorcigliamo sempre di più su noi stessi, rimanendo immobili.
Quando siamo confusi e non felici o reclusi, camminiamo come il funambolo tra ieri e domani. Il tempo gioca a nascondino con noi e noi ci facciamo imbrogliare e talvolta anche imbavagliare.
Oltre alla vita di prima, alle vacanze e alle quarantene, ci sono anche i giorni ufficialmente immobili.
I giorni in cui non si corre, non si va e non si viene; in cui ci si ferma: quelli rossi e le domeniche, giorni pericolosi e lenti. Giorni dei bilanci esigenti, del tutto e del niente. Degli armadi da riordinare e degli arretrati da smaltire, degli ingorghi del cuore. Insieme al caos che (talvolta) diventa ordine c’è il bisogno di riposare o di essere felici. (Solitamente gli infelici non riposano, hanno paura di rallentare e di incontrare nella pausa o nel vuoto il loro peggior nemico: loro stessi).
E poi c’è la pandemia, quella che non passa, che va via, che si nasconde e poi torna. In quel tempo anomalo si insinua quell’amalgama incandescente di sofferenza e speranza di felicità. Di vita e di morte. Di impazienza e di un eterno adesso.
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