Chi lo avrebbe mai pensato che un uomo come Vittorio Sgarbi potesse cadere in quel buco nero? Un uomo che ha costruito la sua folgorante carriera sul potere della presenza scenica, del litigio, della parola colta.
Un evento così drammatico ci porta a riflettere, parlare e scrivere ancora tanto altro sull’importanza del chiedere aiuto. Sul non vergognarsi, perché, purtroppo, la parola depressione viene ancora associata a una sorta di stigma sociale.
In un mondo così tanto attento all’aspetto estetico, alla possibilità di non invecchiare o rallentarne il decorso, che brandisce come cure per l’anima personal training, coach e tante altre figure meteore, la salute psichica viene ancora considerata un bene non prioritario.
Il buco nero
Si chiama male oscuro. Depressione. Male di vivere. Non vita. Non risparmia nessuno, non consce ceto sociale, livello culturale, conto in banca.
Colpisce in silenzio, talvolta senza sintomi eclatanti, senza fare rumore.
Cammina sotto pelle, si insinua dappertutto. Colonizza ogni organo, ogni centimetro di pelle, ogni pensiero. Rende tutto opaco, grigio e poi nero, che più nero non si può.
Inghiotte energie e pensieri, speranze e progetti. La depressione possiamo immaginarla come un’ombra nera, silenziosa e densa che stritola il cuore. Trasforma ogni giorno in una battaglia insormontabile.
Il mondo pian piano perde il suo colore e il suo sapore, ogni passo diventa sempre più pesante come se le scarpe avessero del piombo dentro.
L’aria è troppo densa per essere respirata. Non sempre si vede ad occhio nudo, ma là si può scorgere nelle piccole cose che pian piano si sbiadiscono e poi svaniscono.
Svanisce il sorriso, la gentilezza, il sogno, la pizza del sabato sera. Tutto diventa buio.
Chi soffre di depressione dice addio alla gioia, alla speranza, al desiderio di lottare, di crederci, di svegliarsi l’indomani. Il futuro diventa più una minaccia che una promessa, e il paziente depresso piano piano implode su sé stesso.
Il male oscuro è talmente invalidante che impedisce di chiedere aiuto. Chi ne soffre e chi la conosce bene sa che è un mostro dalle tante teste. Non è frutto della mancanza di volontà, come spesso sento dire, non è un momento di semplice tristezza passeggera – quella è un’altra cosa -, è un baratro, un abisso, un buco nero che ingloba ogni cosa.
Eppure, in mezzo a quel buio, c’è ancora una piccola parte di chi soffre che non smette di cercare la luce, che spera, con una pazienza infinita, che un giorno il peso della vita possa alleggerirsi e il cuore possa ritrovare la forza di sorridere.
Questo può accadere, ma servono i clinici.
Il ricovero di Sgarbi ci sbatte in faccia una grande verità: la depressione porta alla morte, chiedere aiuto in tempo salva la vita!
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2 Commenti. Nuovo commento
Carissima Valeria, questo articolo cade giusto a pennello nella mia situazione attuale.
Mio papà 84enne è caduto in questa depressione e io mi sento impotente.
Cosa posso fare? Il medico gli prescrive solo farmaci che lo rendono dipendente. Non so veramente cosa fare!
Leggo queste righe e mi accorgo che c’è qualcuno che tratta questo argomento e mi solleva un po’, mi sento meno solo un questa lotta contro questo male oscuro.
Grazie ancora!
Maurizio
Gentile Lettore,
le terapie farmacologiche diventano assolutamente indispensabili, così come un inquadramento diagnostico puntuale, ma un supporto psicologico, sempre nel caso in cui suo padre lo accettasse, può aiutarlo moltissimo.
Un caro e affettuoso augurio