La deriva della genitorialitá non si arresta. L’America sdogana la maternità surrogata, e aumentano in maniera esponenziale il numero di mamme surrogate: donne che mettono a disposizione di un’altra coppia il loro utero. Gli italiani infertili con la valigia in mano, sedotti dal canto delle sirene dell’utero in affitto, sono in costante e preoccupante aumento.
L’Italia si divide in due: chi sostiene che un figlio è un bene prezioso e va concesso a tutti: con ogni modalità, strategia, alchimia. Chi, invece, prudentemente, pensa ai diritti del bambino, ai postumi di questa “atipica” gestazione, e dice no all’utero in affitto.
I dibattiti politici occupano le pagine dei quotidiani, l’argomento è scottante e scuote le coscienze.
Qualche riflessione
Anticamente si sceglieva un partner, lo si consacrava a compagno di vita e si cercava di avere un figlio con lui o lei, sperando che avesse il suo sorriso, il suo sguardo e la sua simpatia, o le sue capacità cognitive. Oggi, come sappiamo, quando la natura non aiuta i coniugi a diventare genitori – o perché eccessivamente attendisti, o per problematiche di salute – subentra la scienza con le più svariate e sofisticate tecniche di PMA, procreazione medicalmente assistita. Soltanto da qualche anno, la legge italiana dice di sì alla fecondazione eterologa, tecnica che apre uno scenario complesso che ci obbliga a parecchie riflessioni. Le indagini cliniche da estendere alla coppia ricevente e al bambino che nascerà sono tante, scrupolose e approfondite.
Nei casi di infertilità totale, si possono adottare dei gameti esterni alla coppia: l’ovocita, nel caso in cui fosse la donna ad avere problematiche importanti e il liquido seminale per problematiche al maschile. Le soluzioni sembrano non finire mai, così, quando una donna, per condizioni fisiche o psichiche, non può contenere in utero il suo bambino, o nel caso di coppie omosessuali – non in Italia – si propende per l’affitto dell’utero, o per la maternità surrogata, detta anche GPA (“gestazione per altri”).
Frammentazione della maternità nella “triade ovocita-utero-genitorialità”
Un figlio a ogni costo, e in ogni modo. Non stiamo parlando di una casa al mare da affittare per le vacanze estive, di uno chalet di montagna, di un catamarano a vela, ma di un utero!
L’utero è un organo altamente simbolico attorno al quale ruota la crescita psico-sessuale e l’identità della donna. Parlare di utero in affitto, di maternità surrogata o di gestazione per altri, stride con la sacralità del corpo di una donna e con la magia della maternità in sé.
È un organo che evoca il contenimento, la gestazione e il ventre materno, in tutte le sue infinite declinazioni e sfumature che riguardano la fase della vita intra-uterina e l’alchimia della fase postuma: la diade madre-bambino.
La fecondazione assistita, mediante le tecniche di maternità surrogata, orienta inevitabilmente verso la frammentazione della maternità nella triade ovulo-utero-genitorialità.
Le domande che ci affollano la mente sono veramente tante:
- Cosa spinge la mamma “incubatrice”, o madre surrogata o utero in affitto, oltre la cospicua remunerazione, a dire di sì, a prestare il suo utero per una vita non sua?
- Altruismo o necessità?
- Spontaneità o obbligatorietà?
- La vita intra-uterina e il suo significato simbolico che fine farà?
- Chi custodirà quelle sensazioni preziose che hanno a che fare con i nove mesi di vita del bambino?
- La relazione madre-bambino ha perso il suo profondo e immutato valore?
- Può davvero iniziare con il bambino in braccio?
- Partorito da altro da sé?
- E, soprattutto, se fosse un’ennesima mercificazione del corpo delle donne?
- Sembra, anche in questo caso, una sorta di ennesima violenza sulle donne?
- Di sfruttamento, esattamente come la prostituzione?
- Di mera mercificazione dei corpi e dei loro organi?
Una sorta di “prostituzione della maternità”.
A contratto firmato e a parto avvenuto, la madre che ha prestato il suo utero a gameti “altri” dai suoi e che ha portato in grembo il bambino, andrà via con un assegno in tasca e immagino
tanta amarezza.
- Cosa succederà dopo il parto alla mamma incubatrice?
- E se la donna avesse deciso di prestare il suo utero soltanto per questioni economiche, ammantando questo gesto da generosità?
- Non si tratterebbe della solita e datata tratta delle schiave?
- E i neo genitori?
E infine, non ovviamente per importanza, il bambino:
- Saprà?
- Vorrà sapere?
- È giusto che conosca la madre surrogata o madre contenitore?
- Che sensazioni avrà?
- Quali rischi di parcellizzazione del suo vissuto?
- Della sua futura identità?
- Non si tratta, anche in questo caso, di un abuso sui minori strappare un bambino alla propria madre e privarlo del genitore che lo ha partorito?
Legati da un unico cordone ombelicale, per ben nove mesi e per sempre. Una madre non smette di essere tale soltanto perché ha partorito, così come non può smettere di essere tale perché madre in affitto. La maternità è prima, durante, e dopo. E per sempre.
Tre elementi di fondamentale importanza sono inscindibili tra di loro: ovulo, utero e cura del neonato. Nei casi di fecondazione eterologa, quindi di donazione di ovociti, la mamma sarà sempre e comunque la stessa persona: colei che conterrà il feto, che lo allatterà durante i mesi successivi, che lo cullerà per indurlo dolcemente al sonno e che lo terrà per mano durante la sua vita, strettamente intersecata con la sua.
Continuando così, scelte già fatte da alcune star come Nicole Kidman, che ha scelto la maternità surrogata a quella fisiologica, alcune mamme eviteranno di affrontare una gravidanza per non sciuparsi il seno o per non allargare il punto vita.
Uno sguardo sui figli
- Dove possono cercare le proprie radici i figli della surrogacy provenienti dal corpo di una madre separata dal proprio desiderio di maternità?
In un’epoca di amori a termine, di divorzi lampo e di una fame importante d’amore, i figli dell’utero in affitto sembrano poter essere candidati a uno “sradicamento di base”, delle origini. Sono bambini candidati a perdere le loro radici ancora prima di poterle avvertire come tali. Bambini senza nemmeno un utero caldo e accogliente, altamente simbolico e non in affitto, che possa porre le basi per un legame inscindibile, non sindacabile, quello tra la madre che contiene e che partorisce e il suo bambino. La famosa teoria dell’attaccamento di Bolbwy sembra essere andata in pensione, così come l’importanza della vita intrauterina e della fase dell’allattamento; latte materno come veicolo di nutrimento reale e nutrimento simbolico per la psiche del piccolo.
- Come stanno – e, soprattutto come staranno – questi figli dell’utero in affitto, della madre surrogata?
- Che cosa avviene quando sin dal concepimento non esiste una possibilità di radicamento?
Il precariato psichico e la mancanza di certezze, di continuità affettiva e di amore cominciano già dall’embrione, e con lui sopravvivrà nella memoria corporea del bambino.
Sono piccoli e già nomadi, sin dall’utero, con una valigia in mano dalla provetta: nascono “qua”, ma dovranno andare “altrove”.
Nemmeno l’embrione sembra poter avere stabilità; un luogo sicuro dove poter nascere e crescere, luogo simbolico di contenimento e di travaso di emozioni, di sensazioni, di ansie miste a paure che passeranno dalla mamma al suo piccolo, come un’importantissima “dote” genetica ed emozionale. Il piccolo, a parto avvenuto, non avrà nemmeno il tempo del suo primo vagito che a consolarlo saranno ben altre braccia. Il simbolico taglio del cordone ombelicale ci obbliga ancora a riflettere. Il cordone ombelicale sarà il luogo del legame che si recide con l’adolescenza, con gli strappi della crescita. Ma riguarderà la stessa madre – biologica e non in affitto – e il bambino che ha tenuto in grembo. In utero: il suo.
Il bambino della maternità surrogata da quale madre si separerà?
Nasce già separandosi e dovrà adattarsi a nuovi odori di pelle, a una madre non sua che non lo allatterà, ma che lo porterà a casa come un trofeo appena acquistato. Questo rapporto non rapporto con la madre surrogata segnerà profondamente l’esistenza del bambino, con la sua pregressa presenza e con la sua postuma assenza.
Dovrà essere un bambino coraggioso, pronto per nuove relazioni, non dovrà avere paura né ricercare l’odore della sua mamma che lo ha avuto in utero sin dalla sua prima suddivisione cellulare. Tutto sembra portare verso un’accelerazione della separazione: ma siamo davvero certi che sia un bene per il nascituro? Il tempo ci darà notizie più attendibili.
Uno sguardo alla madre surrogata
Giovane, immagino, alle prime esperienze, e già traumatizzata. Quando portiamo in utero il nostro bambino, il corpo si modifica, si addolcisce, si allarga dolcemente per contenere quello che è il frutto del nostro desiderio e del nostro immenso amore. Lo specchio ci rimanda un’immagine spesso goffa, appesantita, ma sappiamo bene che è un momento magico, alchemico e che, a bambino in braccio, le fatiche provate e i chili presi andranno via.
- La mamma surrogata cosa proverà, durante la gestazione e dopo il parto?
- Come si sentirà dopo, senza il bambino?
- Vuota?
- Svuotata?
- Deprivata?
- E se, dopo aver firmato il contratto in agenzia, avesse qualche ripensamento?
- Se non riuscisse a dare il bambino che ha tenuto per ben nove mesi in utero?
- Cosa succederebbe?
Forse l’unica ricompensa del denaro, immagino. E la depressione dopo parto?
Può, a parto avvenuto e a denaro incassato, smettere di pensare a lui? Smettere di sentirsi una madre a metà?
Speriamo che i nostri politici prima di approvare una legge che inevitabilmente segnerà per sempre tante esistenze – soprattutto quelle dei bambini – si documentino a dovere.
Bibliografia
1. Giuseppe Cassano “Le nuove frontiere del diritto di famiglia. Il diritto a nascere sani, la maternità surrogata, la fecondazione artificiale eterologa” Giuffré, 2000
2. Ines Corti “La maternità per sostituzione” Giuffré, 2000
3. Carla Faralli e Cecilia Cortesi “Nuove maternità. Riflessioni bioetiche al femminile” Diabasis, 2005
4. Alicia B. Faraoni “La maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina” Giuffré, 2002