Diciassette novembre, giornata mondiale della prematurità

Giornata mondiale della prematurità

Una madre è già in dolce attesa prima che il bambino sia in utero.
Il bambino. infatti, abita la sua mente, il suo cuore, il suo immaginario molto prima di abitare il suo ventre. Le più fortunate di noi sappiamo bene cosa si provi, come ci si senta ad aspettare un bambino, e ad avere il privilegio di custodirlo amorevolmente in grembo.
La prima ecografia è un tuffo al cuore. È appena un puntino, e già tutto per noi.
Il battito cardiaco del piccolo è il ritmo incalzante della vita che inizia: perentoria, forte, contro ogni ostacolo.
È la vita che nasce.
Ogni suo giorno di vita dentro di noi è una magia, una vera alchimia.
Ogni ora dei suoi meravigliosi nove mesi accade qualcosa, in lui e in noi: nascono gli organi, le unghie, i capelli, tutto di lui, grazie al nostro legame con lui.
L’utero diventa la sua casa, contenitore e contenuto di amorevoli cure, pensieri, emozioni.
Aspettiamo con ansia che nasca per vederlo, cullarlo, amarlo a dismisura.
Nel nostro progetto di maternità, la prenatalità, non é nemmeno contemplata. Non sappiamo cosa sia, e vorremmo che un figlio rimanesse dentro di noi a lungo per proteggerlo da tutto e da tutti.
E intanto succede.
Succede per un milione di cause che il piccolo nasca prima dei suoi giorni.
E ogni giorno in meno dentro di noi, è in giorno in più di rischio per lui.
Il piccolo nato troppo precocemente dovrà attraversare ore infinite, giorni di fatiche enormi per tentare di farcela da solo; senza il suo utero caldo, i suoi pasti caldi a bordo, il dondolio da liquido amniotico.
Insomma, gli mancherà, e anche sin troppo precocemente, quella amorevole e regressiva sensazione di contenimento che tutti noi, anche da grandi, vorremmo sperimentare ogni tanto quando ci sentiamo stanchi, soli, o addolorati dalla vita.

17 novembre, giornata mondiale della prematurità

Il diciassette novembre è una giornata simbolica che ricorda il miracolo della nascita, l’importanza della vita intrauterina, i rischi della nascita prematura.
Giornata che serve a sensibilizzare l’opinione pubblica, i clinici e le madri sull’importanza di una gravidanza a termine.

Cosa intendiamo per nascita pre-termine e per prematurità

La nascita di un bambino si definisce prematura quando questa avviene prima della 37esima settimana di gestazione.
La maggioranza dei parti prematuri, avviene tra la 32esima e la 37esima settimana.
Decisamente troppo presto per il bambino.
Ogni anno nel mondo ben sedici milioni di bambini nascono prima del termine, e circa un milione di loro non sopravvive.
Il bambino che nasce prima della 37ma settimana viene detto prematuro, e più la nascita è anticipata, meno i suoi organi saranno sviluppati, con il conseguente rischio di problematiche cognitive e psichiche, motorie e neurologiche, e anche di morte.
In Europa il dieci percento dei neonati nasce prematuramente, inoltre, secondo i dati della Fondazione Europea per l’assistenza neonatale (EFCNI) il numero è destinato ad aumentare sensibilmente.

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Come si sente una madre

Una donna nel momento in cui sa di essere madre, più o meno dal primo giorno di ritardo del ciclo mestruale, transita in una condizione di costante apprensione.
Teme di stare male, di non mangiare abbastanza, o abbastanza bene, di affaticarsi troppo, di fare qualcosa che possa danneggiarlo.
Se in gravidanza ha un gran mal di testa, lotterà con sé stessa per non assumere quella tanto desiderata bustina per timore che possa passare al suo piccolo, grande, ospite.
L’ansia e la cura faranno da padrone.
Poi, un giorno, all’improvviso, nasce!
Ed ecco le mille domande che abitano la mente ed il cuore di una mamma di un bambino prematuro:

  • Sarà stata colpa mia?
  • Avrò sbagliato in qualcosa?
  • Avrò scelto il medico giusto?
  • Ce la farà senza di me?
  • E se si sentisse solo?
  • Se avesse freddo?
  • Fame?
  • Avesse paura?
  • Potrò toccarlo abbastanza?
  • Basteranno le mie cure medicate a fargli sentire il mio immenso amore?
  • E, se crescendo, avesse delle difficoltà?
  • Delle malattie?

La mamma di un neonato prematuro ha paura

Il diciassette novembre si festeggia la giornata mondiale della prenatalità – giornata simbolica di attenzione dei clinici e dei media -, verso questi piccoli.
Piccoli grandi eroi, che inizieranno a lottare molto prima degli altri neonati per rimanere in vita.
Sappiamo bene che più piccolo sarà, e più rischierà la vita.
Più nascerà pre-termine, più sarà a rischio di malattie postume.

Rischi postumi di una nascita anticipata

I bambini nati prematuri, da adolescenti e da adulti, hanno maggiori probabilità di sviluppare disturbi fisici e psichici.
Questi bambini hanno inoltre, maggiore rischio di andare incontro a qualche defezione cognitiva o motoria.
I fattori ambientali – e per ambientali intendo la cura, l’amore e le adeguate stimolazione neuro-sensoriali – però, sembrerebbero arginare i fattori di rischio per la crescita del piccolo.

Cosa prova il bambino

Cosa prova il bambino non possiamo saperlo, anche se sono stati effettuati parecchi studi di psicologia sull’importanza della vita intrauterina che dimostrano che più serena, adeguata – anche dal punto di vista temporale – sarà la “permanenza a bordo” (a bordo della magica nave costruita da utero e mamma, augurandoci che l’utero sia della stessa donna che da alla luce e che accudirà in seguito il bambino e non un utero in affitto), più armoniosa sarà la sua crescita futura.
Immagino che un bambino appena nato abbia bisogno dell’odore della sua mamma, così come del suo seno – con i suoi infiniti simbolismi – e delle sue cure, tattili ed emozionali.
Immagino che un bambino così piccolo possa avere paura, fame, freddo.
Possa vivere sospeso dalla vita, nella sua incubatrice, aspettando di transitare tra le braccia della sua mamma, il reale prolungamento dell’utero, per vivere poi la successiva gravidanza extra-placentare, emozionale e sensoriale.
Il ventre di un madre, con i suoi mille significati di cura, accudimento e nutrimento, di anima e corpo, non può essere sostituito.
La vita intrauterina, per tutti i suoi meravigliosi nove mesi, assume un significato magico, alchemico, di scambio e di cura, elementi indispensabili per la crescita fisica, psichica ed emozionale del nascituro.

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Concludo questo mio scritto sulla maternità, tema a me molto caro, con una lettera che scrissi a mia figlia Lucrezia appena nata.

A mia figlia Lucrezia

Guardavo con tenerezza e continua sorpresa quella mezza noce di cocco in vimini che seguiva i movimenti ondulatori dalla variante intensità, in funzione dei suoi già chiari e comunicativi movimenti.
La noce di cocco conteneva mia figlia: Lucrezia.
La sua culla era proprio una mezza noce di cocco, odorava di vimini ed evocava sentimenti di protezione e tutela.
La culla era stata sapientemente e amorevolmente riadattata dalle mani operose di mia madre e di mia nonna, come si fa in Sicilia quando ci si vuol bene.
I colori scelti erano caldi, solari allegri e festaioli, così come mi auguravo sarebbe stata la sua vita, miracolosamente intrecciata con la mia.
Lucrezia era piccola e indifesa, dagli occhi grandi e profondi e dalle ciglia folte e sensuali.
L’ incarnato era lunare, forse troppo chiaro per essere profondamente mediterranea, le guance tonde e rosa, il naso talmente piccolo e armonioso, che sembrava essere stato appositamente scolpito da un’artista, le labbra grandi, morbide, tremendamente femminili e dai contorni chiari e ben delineati.
Il corpicino era piccolo e proporzionato, le mani belle, curate, affusolate e già femminili, sembravano far trasparire la mia ossessionante attenzione per le mani.
A quel corpicino piccolo, che a solo guardarlo evocava tenerezza e profondo e arcaico senso materno, corrispondeva però, una voce decisa, chiaramente comunicativa e fortemente richiedente.
Erano passati i mesi e, da lì a breve, sarei dovuta rientrare a lavoro, l’angoscia era densa e costantemente presente all’interno delle mie giornate.
Come avrei potuto separarmi da lei?
Mi sarei fidata di altro da me?
L’ansia da separazione era mia, la bambina era una bambina serena e sorridente.
L’idea di dovermi allontanare da lei, di non poter vegliare sempre su di lei, mi lacerava e non mi faceva stare serena.
Le mie braccia erano per lei un prolungamento del mio utero, quello che io percepivo come una gravidanza extra placentare.
Era già nata, non era più dentro di me da mesi, ma il nostro legame era simbiotico e unico e, nonostante le svariate critiche da parte di mamme e nonne varie, questo legame mi appagava moltissimo e mi faceva stare bene.
Ricordo con nitida chiarezza la sensazione calda ed avvolgente che provavo quando Lucrezia era dentro di me, mi sentivo forte, protetta, onnipotente e soprattutto non avrei dovuto condividerla con nessuno, era soltanto mia.
Quando è nata la osservavo di continuo, mi sembrava piccola e indifesa e sentivo forte la responsabilità della sua vita, che a volte mi sembrava schiacciante e altre volte insormontabile.
Ero in grado di farcela da sola?
Sarei stata una buona madre?
Esistono, poi, buone madri ?
Insomma, mille dubbi e mille interrogativi agitavano il mio cuore.
Alternavo momenti di serenità a momenti di acuto fastidio e una tendenza, quasi da strada, alla litigiosità.
Quando qualcuno, con fare presuntuoso, sfacciatamente invasivo e soprattutto saccente, la prendeva tra le sua braccia, provavo fastidio.
Avevo la netta sensazione che stessero toccando, senza essere autorizzati a farlo, una parte più intima, viscerale, emotivamente vibrante, di me stessa.
Diventavo collerica e decisamente poco ospitale, e il mio atteggiamento decisamente primitivo, veniva letto come depressione post partum, ma io ero lucidamente sana ed affatto depressa.
Lucrezia era mia e non volevo che nessuno la toccasse, se non pochi intimi.
Forse avrei imparato, ma per adesso era decisamente troppo presto per la mia psiche.
Avevo deciso di essere – non fare – madre, non soltanto nel suo significato biologico, ma emozionale, mentale, e soprattutto corporeo.
Volevo starle vicina, sempre, adattare la mia vicinanza alle sue necessità di crescita, né troppo invasiva né troppo distante.
Sarei voluta riuscire a essere presente ma non invasiva, rispettosa dei suoi spazi mentali e fisici e, soprattutto, capace di non interpretare i suoi bisogni con il filtro dei mie desideri.
Sarei voluta diventare per lei un modello, un punto fermo di riferimento, una presenza non ingombrante, capace di farla sbagliare e riparare.
Non volevo essere una mamma in carriera, sempre presente ai congressi, tra tacchi alti ed abiti scomodi, volevo, a fatica, calibrare il mio essere mamma, con il mio essere clinico, per il quale ho tanto faticato.
Non volevo, al rientro a casa, dovere comprare costosi regali per lenire i miei sensi di colpa, per le mie giustificate assenze lavorative, volevo nuotare con lei nella vasca da bagno, portare fuori il cane ed impastare la pizza con tracce sparse di farina, che testimoniassero il nostro divertimento e la nostra complicità.
Non so se sarò in grado di tenere fede a queste mie promesse, ma sono certa che farò di tutto per esse sempre fedele a me stessa, ascoltare il mio cuore e avere il coraggio e l’umiltà di mettermi in discussione, sempre.
Un bacio piccola mia.
Mamma

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