Le vostre storie, le mie parole. Spezzone di una consulenza e di un aborto.
Cara me,
eccomi con quella che sarei dovuta essere.
E invece sono io senza te e nemmeno me. A fare i conti con il vuoto. Con il buio. Con il nulla che fa male.
Nel dover rinunciare a te ho perso me, nel perdere me rimarrai per sempre dentro di me.
Non pensavo che sarebbe successo. Non pensavo che quel test di gravidanza sarebbe diventato rosa. Quelle due linee rosa mi davano per spacciata. Come lo avrei detto ai miei genitori? Immaginavo già il volto austero di mio padre e le sue possibili frasi punitive.
E mia madre? Lei che aveva così tanto investito in me, nella mia formazione, nel mio studio? Lei che non aveva potuto studiare perché doveva lavorare. Lei che credeva in me. Lei che mi amava così tanto.
Cosa le avrei potuto dire: scusa mamma, aspetto un bambino, è di Giacomo, ma studia all’estero e non ne vuole sapere niente. È figlio di una notte da alticci. Figlio di una distrazione, di una imprudenza. Di un preservativo mai indossato.
Quali scuse avrebbero potuto addolcire il loro cuore? Forse mia madre avrebbe pensato a lei, al suo ventre pieno di me, a lei che era diventata madre, alla sua felicità?
E se invece di empatizzare con me, con lei in me e con me in lei, con il nipote che verrà reagisse male se non malissimo? Potrei mai darle questo dolore dopo tutto quello che ha fatto per me?
Mi mancano due esami per laurearmi, soltanto due. Mia madre ha fatto un doppio lavoro per aiutare mio padre a mantenermi agli studi.
E Giacomo? Cosa faccio con lui che non mi vuole più e non vuole nemmeno colui o colei che abita in me?
L’unica soluzione è abortire. Devo farlo per i miei genitori, per le loro fatiche, per me e per i figli che verranno e che spero di mantenere da sola. Il solo pensiero di respirare quell’odore di ospedale di morte, di recarmi in quel luogo di nascita per affrontare la morte, mi atterrisce e mi punisce. Sono stata un’imprudente, leggera e irriconoscente.
Adesso dovrò fare i conti con questa scelta, con il mio cuore infranto ogni possibilità di riparazione, col dolore cupo e profondo che mi accompagnerà per il resto della vita e con la mancanza. Quella mancanza che è diventata assenza che è diventata presenza e che mai andrà via da me.
Così scrivo a me, alla me che sono stata, alla me che non sono diventata, e alla madre che ho deciso di non essere. E non mi perdono.
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