Nulla crea più dipendenza del passato. Quel luogo che si fa trappola e anche rifugio, ingombro, risorsa o talismano, che portiamo sempre addosso e dentro, diventa spesso il luogo dell’altrove.
Seduta in una caffetteria dinanzi a una tisana alla mela e cannella scrivo e rifletto sul tempo.
Il rapporto che ognuno di noi ha con il passato dipende da un’infinità di variabili. Chi lo incastona come se fosse una pietra preziosa da indossare per le ricorrenze. Chi lo mette sotto il tappeto, come la polvere. E chi lo trasforma in saracinesca da sprangare sulle emozioni e sulla possibilità di vivere a pieni polmoni, trasformandolo in alibi.
Lungo la linea del tempo è nostra abitudine andare avanti e indietro come i gamberi nel tentativo di ripassare i ricordi, accarezzarli ancora una volta, farci abbracciare dalla loro intensità, rileggerli, offuscarli, sbiadirli, stemperarli, sostituirli con altri nuovi di zecca. Quando siamo felici e allegri guardiamo il passato con gratitudine, affetto e simpatia, e lo consideriamo uno scrigno segreto: il nostro tesoretto privato. Quando veniamo maltrattati dalla vita, quando abbiamo il cuore zoppo o dolente, lo guardiamo con rancore e, in fondo, non gli siamo affatto grati. Lo rimproveriamo di averci reso fragili, troppo sensibili, obbedienti, sofferenti.
In realtà lui, povero passato, non ha colpa. È fermo lì, apparentemente innocuo e immobile. Esattamente come gli amori impossibili da cui è difficile liberarsi per regalargli una degna sepoltura, il passato continua ad emanare quel fascino un po’ tossico, un po’ letale, con note di nostalgica dipendenza.
Fare pace con lui e farlo riposare in pace – magari portandogli dei fiori di tanto in tanto, come si fa con le persone care – dipende solo ed esclusivamente da noi e dal rapporto che decidiamo di avere con lui, non da lui.
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