Chi è stato amato male lo sa.
Amare è dare all’altro quello che non si ha, e che non si è mai ricevuto.
Lo dice la psicoanalisi e lo raccontano i cuori strappati e riparati.
Chi è stato amato male, poco, in maniera intermittente o nevrotica è affamato d’amore, così quando ama investe con tutto sé stesso per cercare di nutrire e di riempire quel vuoto primario. Quel baratro. Quella mancanza. Quella voragine così dolorosa e dispensatrice di bisogni.
Chi soffre della ferita dei non amati dona all’altro la sua mancanza, sé stesso, quello che non possiede o non pensava di possedere e che capisce di possedere grazie a quell’amore.
Una donna (o un uomo) non amata che diventa madre farà di tutto per non essere come la madre che ha avuto. Sarà dolce e tattile. Affettuosa e amorevole. Presente e clemente.
Il bacio della buona notte verrà depositato sulla guancia o fronte a occhi aperti e non chiusi, lieta di dare così tante cure; così mentre dona e si dona ripara sé stessa.
Un donna (o un uomo) non amato diventerà un partner premuroso e attento, in grado di sentire anche l’invisibile. Chi ha subito un danno e decide di farlo dono, si mette in cammino verso l’introspezione, accarezza le sue paure e fragilità del cuore e le dona a chi sceglie di amare. Si fa presenza e cura. Si fa futuro e promessa di felicità.
Farsi presenza significa accettare il rischio dell’assenza. Donare quello che non si ha significa avere il coraggio di guardare nel pozzo senza fondo dell’infanzia, perdonarlo e percorrerlo in senso ostinato e contrario per risalire la china: in direzione luce.

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