Diario di viaggio: il mio fine settimana milanese

Mi sveglio prima della sveglia, perché come sempre non si sa mai. Non dovesse suonare, dovessi addormentarmi – cosa mai successa nella mia vita da iper efficiente, pendolare e donna controllante -, oppure qualche sciagura dovesse abbattersi su di me, evento più che possibile.
Ripasso mentalmente tutto quello che ho già fatto prima della mia partenza: le consegne a chi si occuperà delle fattoria, della mia casa, dei mie animali. Come sempre ho la sensazione di partire per la legione straniera per un tempo infinito, eppure la mia vita sin da quando ero ragazzina è stata costellata da viaggi senza sosta.
Nel buio di casa, con i miei due inseparabili cagnolini al seguito, mi reco come un automa in cucina: caffè e colazione, anche se è praticamente notte.
Piove, e da siciliana non sono abituata a questo tempo poco clemente che rende tutto faticoso e ostile. Controllo la mia borsa, la ricontrollo, sono pronta ma sin troppo stanca per essere lucida.
Alle cinque e trenta sono in aeroporto, mi sento un soldato.
Milano e soprattutto mia figlia mi aspettano, devo andare.
Mi aspettano anche il freddo che odio, un bel cielo plumbeo, la pioggia, tanta fatica e qualche serata modaiola, a cui non sono abituata dato che abitualmente vado a dormire talmente presto da ricordare una gallina. Ma da quando mia figlia vive a Milano, da ben cinque anni, cerchiamo di incastonare i ricordi, così alterniamo traslochi, pulizie varie e mercati, a cene intime e merende profumate.
In aereo c’è il solito brusio, nonostante sia l’alba e il sonno potrebbe elegantemente tacitare i passeggeri, questo non accade: parlano, parlano, ridono, urlano, guardano i video nei loro cellulari, sempre noncuranti della dimensione pubblica e comunitaria dello stare su un volo.
Atterro. La dimensione spazio-temporale di Milano non mi piace più, mi disorienta. Anche il mio studio, anzi lo studio che mi ospita, lo sento sempre più distante dal mio concetto di cura.
Strade affollate, caos, tutti di corsa. Le persone corrono come dei forsennati, non ti guardano nemmeno, frettolosi e scollati dal resto del mondo e forse da loro stessi. Il Duomo è sontuoso, ben pizzato al centro da dove domina tutto; bello ma niente di nuovo sotto il sole (che non c’è).
I negozi sono scintillanti e affollati. La Galleria è un bel salotto d’altri tempi, troppo caotica per il mio cuore. Mi sento fuori posto.
Sento di avere talmente tanto interiorizzato lo spazio-tempo della mia fattoria da non amare più altri luoghi. Mi manca la lentezza dei miei animali con i loro sguardi liquorosi e parlanti. Il cielo immenso e azzurro con le sue aquile che passano da lì sempre alla stessa ora del giorno come se avessimo un appuntamento.
Gli uccellini che cinguettano. Le albe cangianti, quelle che ti incantano, che ti obbligano a fermarti, a riflettere, a immortalarle insieme alle tue emozioni. Il gatto del vicino.
Il tempo delle sedute, della cura, del giardinaggio e dei miei alberi da frutto.
Mi manca quel tempo meravigliosamente dilatato della scrittura alternato al tempo del fieno con il suo scricchiolio e profumo, e le infinite carezze alle tre criniere scarmigliate, ognuna con la propria storia.
La dolcezza e profondità di Giacomina, la permalosità e irruenza di Lella e l’immensa dolcezza e ingenuità del piccolo Mimì mi fanno compagnia anche a distanza. Non smetto di pensare a loro.
Quando dormo a casa di mia figlia accade sempre una magia: lei diventa la padrona di casa, ospitale e accuditiva, e io l’ospite. Ogni tanto, anche se a termine, un’inversione di ruoli fa bene al cuore di tutti e svela verità inedite (mamma togliti le scarpe, non schizzare lo specchio, rifai il letto, compriamo la confezione grande che costa di meno, e così via!).
Quando rientro in Sicilia mi fa sempre male il cuore. Negli anni, sempre un po’ di meno perché mia figlia è sempre più donna e sempre più autonoma, ma io sono sempre madre e lei sempre figlia.
Rincaso con il cuore stracolmo della mia Luli e della sua dolcezza, sensazioni che mi faranno compagnia a lento rilascio sino al nostro prossimo incontro e sempre.
Da domani penso a me, alle mie più profonde esigenze e a un muro in pietra lavica tipicamente siciliano che dovrò ricostruire nei prossimi giorni.

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