Una mia paziente era fermamente convinta che suo marito fosse gay. Che lo fosse diventato o che lo fosse sempre stato. Era chiaro che non era più interessato a lei. La attraversava con lo sguardo, la faceva sentire invisibile. La loro intimità era diventata zoppicante e fluttuante. Si alternavano perdite di erezione improvvise e irrecuperabili a feroci litigi sino a concludersi in un calo del desiderio conclamato e crisi di coppia. Mi consultano per cercare di andare oltre il sintomo sessuale e di fare chiarezza, pronti ad accettare quello che sarebbe venuto fuori da un percorso di chiarificazione.
Per la mia paziente la certificazione dell’omosessualità del marito e per il marito la possibilità di sentirsi sollevato dalla gogna familiare nella quale ormai viveva da anni.
Dopo i primi colloqui durante i quali ho analizzato la coppia con le sue complesse dinamiche ed entrambi i componenti della coppia singolarmente, siamo giunti alla conclusione che il pensiero della moglie non era un pensiero offensivo ma difensivo.
La signora era davvero molto provata dalla mancanza di erezione e di desiderio del marito che pensarlo gay la rincuorava. Era diventato un pensiero-coperta-rassicurazione.
E, soprattutto, la proteggeva dal rischio più grande: doversi mettere in discussione sul piano profondo. Il marito, invece, era ingabbiato nel disagio sessuale che era diventato emotivo e da quello emotivo che era diventato sessuale.
Analizzare le dinamiche profonde che abitano la sessualità, che ne muovono le fila in modo funzionale o disfunzionale, mi scalda sempre il cuore e scalda anche quello dei miei pazienti che magicamente seppelliscono l’ascia di guerra e indossano i panni dei costruttori.

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