Trovare la combinazione, quell’ingranaggio perfetto nella sua imperfezione per tradurre in parole le emozioni provate è complicato e al tempo stesso affascinante. È un cammino impervio, fatto di soste, di belvedere e di dirupi.
Lo è quando ci analizziamo da soli e quando abbiamo sposato il mestiere della cura e della scrittura.
A volte troviamo sogni e desideri miscelati insieme – desideri confusi per paure e paure per desideri irrealizzati o irrealizzabili -, emozioni sfocate, sotto soglia, che non sanno quale strada imboccare: quella della profondità e forse della rimozione o quella che porta in superficie in direzione luce.
Quando questo accade in terapia si tratta di un momento estremamente delicato, da maneggiare con cura.
Quando un paziente intravede un moto dell’anima scomodo e doloroso, e magari tu lo avevi già intravisto prima di lui, devi stare ferma e zitta ad aspettare. Il percorso verso la presa di coscienza deve essere lento e prudente, durante il quale si alternano attese a istanti preziosi. Sguardi a sorrisi. Parole a silenzi. Sogni a lapsus.
Il tempo (e lo spazio) della cura accompagna il paziente dalle emozioni in bianco e nero alle emozioni a tinte forti. Dalla paura al coraggio. Dall’immobilismo all’azione e dall’azione alla riflessione.
E quando accade è meraviglioso e unico. Sempre, tutte le volte.

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