Le vostre storie, le mie parole (spezzone di una consulenza).

Arriviamo in hotel dopo un’estate a dir poco terrificante, con l’intento di scappare da tutto e da tutti, di guardarci ancora e provare anche ad amarci.
Dopo il Covid speravamo di trascorrere un’estate tranquilla, ma nostro figlio, il secondo dei due, durante il mese di giugno aveva contratto l’infezione.
Siamo stati avvolti da una aura di angoscia e preoccupazione, lo abbiamo accudito, vegliato, rinchiuso in casa finché il tampone non si è finalmente negativizzato. E poi abbiamo ripreso a respirare.
Come sempre accade all’interno della nostra coppia, ci siamo dati la colpa, l’uno ha messo al rogo l’altro accusandolo di essere un irresponsabile, e la tensione familiare era diventata totalmente alta da rendere l’aria irrespirabile.
Ad estate quasi conclusa, a figlio guarito e immunizzato e ad altro figlio vaccinato, mio marito ed io abbiamo deciso di scappare via da tutto e di ritagliarci uno spazio solo per noi.
Il luogo dell’altrove di cui avevamo un gran bisogno poteva essere una stanza d’albergo, una spiaggia, un tavolo in riva al mare, qualunque cosa che non fosse casa.
Abbiamo scelto Roma, per affetto e gratitudine nei confronti di questa città. Avevamo nei confronti di questa città un debito di gratitudine e andarla a trovare di tanto in tanto ci sembrava doveroso, e ci faceva stare bene.
Ci siamo recati a Roma, la capitale più capitale che ci sia. In un’ora di volo abbiamo raggiunto la città che ci aveva fatto innamorare e, per continuare ad essere romantici e nostalgici, abbiamo scelto il nostro albergo del cuore. Quello della luna di miele.
Non andavamo lì da circa dieci anni, e avevamo una gran voglia di rivivere quelle sensazioni e quelle emozioni che ci avevano fatto innamorare e che ci avevano fatto capire che avremmo voluto camminare l’uno a fianco all’altro per un lungo periodo, se non per sempre.
L’albergo si trovava al centro di Roma, tra tetti e viuzze a dir poco suggestive, le pareti erano spesse e il cellulare era senza campo.
In una prima fase avevo pensato di beneficiare di questa assenza di rete, ma poi da mamma sono stata colta dalla mia solita ansia da separazione, così ho chiesto alla reception di avere la password del Wi-Fi.
E se i miei figli avessero avuto bisogno di me? Essere raggiungibile tramite WhatsApp mi faceva sentire meno in colpa per questa vacanza improvvisa e inaspettatamente egoistica.
Mio marito aveva deciso di non mettere la linea internet, almeno in hotel, perché non voleva essere disturbato, soprattutto dai clienti insistenti. Ci recammo in camera con il cuore stracolmo di gioia. Era una camera meravigliosa, fronte tetti romani e tramonto. Per un
attimo ero tornata a dieci anni addietro, mi sentivo ancora giovane e bella, e in luna di miele. Decidemmo di darci il turno per la doccia e per incontrarci soprattutto con noi stessi, con la lentezza di un rituale di cui avevamo smarrito le tracce.
Andai per prima, ero finalmente felice di essere lì, da sola, con mio marito.
Quando toccò a lui, mi misi sul letto a riposare e a sentire sulla pelle il telo umido; più che altro avevo bisogno di sentire me stessa senza nessun figlio che aveva bisogno di me.
Avevo appena chiuso gli occhi e tentavo di dormicchiare, cullata dal rumore ipnotico della doccia di mio matito, quando mi accorsi che il suo cellulare, che a suo dire era senza vita e senza rete, aveva ripreso a lampeggiare.
Una raffica di messaggi e di e-mail. Prendeva e aveva, misteriosamente e senza che lui l’avesse impostata, la password del Wi-Fi.
Rimasi attonita. Ma se mancavamo entrambi da dieci anni, come faceva ad avere la linea internet?
Era tornato in quell’albergo, il nostro albergo, senza di me, senza di noi? senza dirmelo? e soprattutto, perché? con chi?

Feci finta di niente, ma la mia mente non smise per un attimo di rimuginare sulla possibile ricostruire dei fatti.
Lui mancava da dieci anni, l’albergo era stato ristrutturato, i computer cambiati e le linee internet anche, quindi, lui era tornato in hotel senza di me e senza dirmelo. Immagino con altro da me.
Due docce e due giorni dopo, feci quello che di solito non si fa perché dopo non si può più tornare indietro:
frugai tra le sue email e chat e trovai lei, una lei inedita e ben presente nella sua vita, e per di più da anni.
Mi si spalancò una sceneggiatura per niente intrigante: ero diventata la moglie ingrigita e depressa, lui il fedifrago che desiderava un’altra donna, e lei, l’altra donna, era presente che più presente non si poteva.
Il cellulare senza campo mi avrebbe protetta da una situazione senza via di scampo. Avevo chiaro che il nostro matrimonio non era a prova di pin.

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