Con questa frase una mia paziente e io ci siamo salutate la scorsa settimana. Ieri mi ha ringraziata ancora una volta per queste parole e me le ha restituite, ripassandole.
Ne sono veramente convinta che per essere felici bisogna essere coraggiosi, che la felicità non cade dal cielo mentre l’infelicità e la lagna cronica sono decisamente più comode e meno faticose.
Così come sono fermamente convinta che non è obbligatorio piacere a tutti. Che si debba scegliere con chi condividere i propri pensieri, le proprie giornate o pizze del sabato sera, e non stare sempre con tutti. Sono convinta che se si tenta di piacere a tutti si smarrisce di intensità e di identità: il bisogno di piacere a tutti ci rende deboli, affamati di conferme, bisognosi.
Nel mio complicato e affascinante lavoro ho incontrato dei pazienti che durante le sedute prendono appunti, e devo dire che mi piacciono molto. Lo facevo anche io quando ero in analisi, mi aiutava a non farmi sfuggire le cose importanti, a rileggerle dopo, a sentire, a capire, e mi sembra una cosa bellissima.
Quello spazio di cura diventa prezioso, si trasforma in un giardino segreto che concimiamo e curiamo entrambi: il paziente, o la coppia come paziente, e io.
Quando lo spazio di cura è online, si tratta di uno spazio fortemente voluto, mai un ripiego o una scorciatoia, ma una conquista della modernità e forse un regalo della pandemia. Poi ci sono altri pazienti che disdicono con un messaggio su Whatsapp, che non avvertono quando spariscono, che scrivono, scrivono, scrivono e rimangono dentro una email e che, in fondo, non vogliono curasi.
Pur comprendendo i meccanismi di difesa e le resistenze non amo il poco rispetto per il lavoro altrui.
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