L’estate è anche questo. Il tentativo di imbottigliare un ricordo olfattivo: le conserve che facevi da bambina con le nonne. In Sicilia era nostra abitudine fare le bottiglie di pomodoro, che non saprei mai rifare perché non avrebbero lo stesso profumo e neanche sapore. Si creava una catena di montaggio. La capostipite, mia nonna, governava la cucina e curava la regia. In rigorosa fila indiana c’erano le mie zie, mia mamma, mia sorella ed io.
L’organizzazione partiva da lontano: dall’acquisto dei pomodori.
Mia nonna preferiva il pomodoro siciliano. Si riconosceva per le sue grandi dimensioni e la forma tondo-appiattita, dal colore rosso intenso e dalla polpa densa e non acquosa. Venivano acquistati in casette, nei mercati di verdura rionali. Si preparavo le piante di basilico, fatte precedentemente crescere sul balcone, anche loro in fila indiana.
E poi c’erano gli utensili che mia nonna utilizzava con maestria e sapienza come se fossero bisturi.
Le pentole erano abbastanza grandi, che per noi bambine erano gigantesche, c’erano più cucchiai di legno di varie misure e forme, uno scolino di metallico, un mestolo, dei canovacci di cotone, un passapomodoro manuale, le bottiglie o i barattoli da conserva e nessuno sterilizzatore, perché le bottiglie venivano bollite una per una.
E infine c’era un aggeggio di cui non ricordo il nome che serviva per chiudere ermeticamente le bottiglie con dei tappi di alluminio.
Infine era obbligatorio e anche suggestivo indossare un grembiule da cucina per proteggersi dagli schizzi di salsa.
Per noi bambine era una magia, mia nonna faceva la salsa e noi collezionavamo ricordi.
Trascorrevamo giornate intere in cucina con gli affetti più importanti a parlare della vita e della salsa, della cura e delle conserve e a giocare a fare le cuoche. Ai fuochi c’era mia nonna: faceva sobbollire i pomodori per un tempo infinito in dei pentoloni decisamente accoglienti, argentei e lucidi. Il rituale era lento e rodato, il profumo intenso e pungente, le risate e i racconti erano la colonna sonora di queste giornate operose e assolate.
Il passaggio finale era deputato al salare – non troppo ma nemmeno troppo poco, mia nonna lo capiva addirittura dal profumo – e aggiungere le foglie di basilico all’interno di ogni singola bottiglia o barattolo. E poi si riponevano in dispensa per farle riposare sino all’inverno successivo.
In quella salsa c’era dentro tutta l’estate della mia Sicilia, la capacità di cura e di trasformazione, tutta la mia famiglia e tutta la mia storia.
Oggi ho tentato maldestramente di ripetere qualche antico copione insieme a mia figlia, ma non sono certa di esserci riuscita.
Lo saprò prossimamente

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