Scelte per esclusione, scelte per passione

Ieri chiacchieravo con il mio infermiere di fiducia. Mentre armeggiava tra flebo, alcol e cotone, ci scambiavamo le solite informazioni sul nostro reciproco quotidiano.
Lui ha ben quattro figli e lavora senza sosta tra ospedale e domicili per mantenerli tutti in maniera più che dignitosa e, soprattutto, farli studiare.
Borbottava: “mi rompo la schiena, ma loro devono studiare!”
Parlando di uno dei suoi figli mi ha confessato con tono accorato che aveva scelto la sua stessa strada. Che si era recato al nord e stava studiando infermieristica.
L’ho guardato con sguardo empatico e compiaciuto e gli ho fatto i miei complimenti. Ho pensato che il padre era stato un bellissimo modello da emulare e che lui, orgoglioso, stava seguendo le orme professionali della cura insegnatagli dal padre.
Così gli ho fatto i miei complimenti.
In realtà le cose non sono andate proprio così. L’infermiere mi ha raccontato che la scelta infermieristica è stata fatta per esclusone. Ha valutato tutto quello che non gli piaceva, a quanto pare quasi tutto, ha poi valutato quanti anni si sarebbero dovuti percorrere dal primo libro al primo guadagno, e ha scelto.
Adesso che ci penso e ci ripenso tanti compagni di classe di mia figlia hanno fatto la stessa cosa: hanno scelto per esclusione e non per passione. Quello è faticoso. Quello non mi piace. Con quella professione si guadagna troppo poco o si fatica in maniera esagerata. Quell’altra non mi entusiasma. E così via.
Certo i tempi sono cambiati, il lavoro è precario se non chimerico, la formazione è perenne e bisogna essere economicamente agiati per studiare e talvolta anche per mantenersi un lavoro (come nel caso degli insegnanti che devono pagare affitti esosi per vivere al nord e acquistare qualche volo per poter vedere la famiglia, più o meno, regolarmente), ma scegliere per esclusione – che diventerà poi una reclusione – è un danno che si fa a sé stessi.
Quando ho terminato il mio faticosissimo liceo classico, certa di non essere all’altezza di uno studio così impegnativo, sapevo già da tempo cosa avrei fatto: o quello o niente. Avevo minacciato i miei genitori, che non erano per niente felici del mio trasferimento a Roma, che non avrei mai più studiato se non avessi potuto seguire la mia unica passione. La mia passione aveva escluso tutte le altre possibilità, le aveva spazzate via senza farmele nemmeno valutare. Sapevo che sarebbe stata una strada lunga, tortuosa e in salita, ma io amavo solo lei, il mio cuore non aveva spazio per possibili surrogati.
Anche la scrittura è un territorio intriso di insidie e di raccomandazioni, ma quando ho capito che non potevo vivere senza, ho sfidato l’impossibile per renderlo possibile. Ho rimpicciolito il superfluo per regalarle (e regalare a me stessa) tempo di qualità e crescere con lei e grazie a lei.
Certo la scrittura non è la mia attività primaria ma è una passione che è diventa lavoro.
Se penso a un lavoro senza passione credo che potrei sentirmi in carcere e appassire all’improvviso.
Scegliere per esclusione e non per passione è una delle trappole della modernità. Scegliere la strada pianeggiante, facilmente e velocemente remunerativa, che talvolta non si incontra con la passione, non è una scelta buona e giusta, ma la più comoda.
Spero che un giorno mia figlia possa amare così tanto il lavoro che farà che avrà la sensazione di divertirsi e non di faticare. In caso contrario funzionerebbe (forse) il contenuto ma non il contenitore.

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