Caro Natale

Ho immaginato di scrivere una lettera aperta al Natale che verrà. Ho raccolto le parole e le paure dei miei pazienti e le mie, e mi sono divertita, emozionata, straziata, confortata.
Con questa lettera auguro delle buone festività a tutti noi.

Caro Natale,
scrivo a te per parlare a me.
Da quando il mondo si è fermato e ci ha fermato, mi sento strana, a volte disorientata, spesso confusa.
A volte accelero e mi sento affamata di tutto, altre volte mi schianto sul muro della noia e dell’immobilismo.
Mi capita di avere voglia di tutto e di niente. Di partire e di restare. Di programmare tanti Altrove e di volare con la fantasia. Altre volte sento un bisogno cocente di vivere alla giornata. Leggera e apparentemente spensierata.
Mi sento in balìa di emozioni ambivalenti e contrastanti: la voglia di fare, fare, fare e al tempo stesso rimanere immobile. La voglia di programmare e allo stesso tempo di procrastinare.
Quest’anno, per esempio, avrei voglia di andare in vacanza, in terre lontane, per visitare l’Altrove – il mio luogo preferito, di grande fascinazione, che mi ritrovo spesso a frequentare per scrivere e per sopravvivere durante i momenti bui del cuore – ma allo stesso tempo ho paura di muovermi e di sperimentare, come se tutte le sciagure del mondo si potessero abbattere su di me e sui i mie cari.
Non ho più voglia di partire da ferma, di guardare il mondo da un oblò, di non abbracciare, non baciare, non vivere, ma ho voglia (forse bisogno) di vita. Tanta vita.
Tu, caro Natale, sei una festa simbolica, intensa e angosciante.
Noi tutti, soprattutto chi conosce il buio, ti aspettiamo con ansia e non vediamo l’ora che arrivi, e quando arrivi non vediamo l’ora che tu vada via. E insieme a te quegli addobbi intrisi di malinconia.
Quelle lucine nelle case degli altri che guardiamo passando con la macchina o camminando a piedi, la città addobbata se pur provata, i venditori di profumi, addobbi, frutta secca e ricordi, la musica natalizia in filodiffusione per le strade della tua città. Tu sei anche questo, ma sei famiglia, affetti, mancanze e desideri. Perché quando il mondo rallenta quello di cui non ci siamo mai voluti occupare bussa prepotentemente per farsi ascoltare.
A volte questo bagno festaiolo ed emotivo ci accarezza altre volte ci disturba. Ci strattona dalle viscere e ci riporta dove non vorremmo mai andare: nelle terre dell’infanzia, tra i ricordi e le mancanze.
La tua atmosfera ci ammanetta alla mancanza. A chi non c’è più nella nostra vita. A quello che ci manca. Alla nostalgia, alla malinconia. All’anima della festa.
Ci fai vivere, soprattutto quest’anno, quello strano lutto dell’immaginario: la mancanza cocente di quel quel cosa che pensavamo ci fosse e invece non c’è e mai ci sarà.

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Quest’anno sei diverso, caro Natale

Saresti dovuto essere il Natale post-pandemia ma a quanto pare siamo ancora tutti insieme: il virus con le sue infinite varianti, Tu, noi e le nostre angosce più profonde.
Anche il rapporto con lo shopping che ci piace tanto e che fa finta di stemperare il vuoto e la solitudine è cambiato, è diverso.
Abbiamo voglia di acquistare quella borsa così tanto costosa che mai ci saremmo permessi, perché non si sa mai cosa succederà domani, e allo stesso tempo pensiamo che forse non è il caso, e smettiamo subito di accarezzare il desiderio.
Quel rossetto rosso Chanel che tanto potrebbe illuminare il nostro viso, ma con le mascherine non durerebbe granché e anche questa volta il desiderio evapora nel nulla. E quel vestito da sera così elegante e scintillante che ci incanta quando passiamo dalla vetrina, ci sembra indispensabile e inutile. E per di più allo stesso tempo.
Le ambivalenze del cuore e del vivere sono diventate tante, anzi tantissime.
Caro Natale, mi sembri, oggi più che mai, una festa intermittente, lampeggiante, ferma lì ad aspettarci e in fuga, evanescente, mentre nessuno di noi trova un modo equilibrato di riportarsi a Te.
Durante gli anni trascorsi ci siamo arrabattati tra congiunti e parenti, tra video chiamate e solitudini, nel tentativo di salvare un Natale che sembrava non potesse essere salvato.
Quest’anno siamo stanchi, anzi stanchissimi. Ci manca l’aria e non soltanto per la mascherina appiccicata al nostro viso, ma per questo stato di incertezza cronica e diffusa. Le varianti del virus si succedono come se fossero ultimi modelli di beni di lusso, i telegiornali ci incutono terrore e ansia, la situazione pandemica sembrava essere stata imbavagliata ma in realtà di imbavagliati ci siamo soltanto noi.
Tra vaccini, nuove dosi e nuove varianti, tra restrizioni e concessioni, tra paure e cortei, siamo davvero molto provati. Ci piacerebbe riavere la nostra vita di prima a viso scoperto e a cuore aperto.
Per il nuovo anno ho deciso che mi prenderò cura di me. Più del solito, con pazienza, con affetto, con piccole cose. A prescindere dalla pandemia e dal dopo. Ho bisogno di stabilità e di vertigine. Di emozioni e di certezze. Di progettare e del carpe diem. Del futuro e del presente. E di tanti meravigliosi e intensi oggi.
Quindi, ho deciso, che imparerò ad assaporare ogni istante di ogni nuovo giorno. Mi impegnerò ad essere felice e a non lamentarmi. Smetterò di guardare indietro e mi proteggerò dai torcicolli emotivi.
Mi impegnerò ad apprezzare ogni nuova meravigliosa alba e ogni nuovo meraviglioso tramonto, e “cercherò l’alba in un tramonto”, come cantava, incantandoci, Franco Battiato. E sono certa che ci riuscirò.
Quindi, caro Natale, non avrai la mia malinconia, non avrai la solita Christmas Blues, ma avrai istanti pieni di vita e di gratitudine per la vita.
Ricapitolando: la pandemia passerà e ci lascerà in pace. Speriamo di avere imparato qualcosa e di avere almeno cercato di attuare strategie salva-mondo. Non voglio dire a me stessa che il prossimo anno andrà meglio, che il prossimo Natale sarà più Natale, ma voglio a tutti i costi inebriarmi di istanti, di attimi, di lucine e di ricordi.
Auguri anche a Te che traballi esattamente come noi. Insieme trascorreremo delle buone feste.

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Valeria Randone

 

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