Il Natale e l’anima della festa

Natale depressione

Il Natale è una di quelle feste che non vedi l’ora che cominci e, quando la vivi, non vedi l’ora che finisca. È la festa della famiglia e di chi la famiglia non ce l’ha. Di chi ama, di chi non ama più, di chi non può amare o non ha mai amato. Luci e lucine, addobbi e festoni, tavole festose, famiglie riunite, falsamente riunite, altre separate e altre ancora dilaniate. Il mondo grida alla felicità ad oltranza, allo sfarzo, all’allegria.
Tutto sembra essere, obbligatoriamente, in festa. Non tutti, e non sempre, possono però sintonizzarsi emotivamente con questo periodo dell’anno, perché talvolta i giorni rossi sul calendario rappresentano più una punizione che un premio.

Il Natale è un vero amplificatore di emozioni positive e negative, che scaldano il cuore, o che il cuore lo prosciugano e trafiggono, un detonatore per l’inconscio, un momento topico di tanti, forse troppi, bilanci di fine anno. (Bilanci non sempre accompagnati da altrettanti buoni propositi, ma questo è un altro discorso!).
Questo momento dell’anno squaderna gli equilibri e apre il varco a solitudini mascherate e conflittualità di coppia, tenute precedentemente a bada dai mille impegni e dai rituali del quotidiano.

Natale, emozioni, amore e solitudine diventano una sorta di matassa emozionale dalla non facile disamina. Non si sa bene perché, ma il Natale, la festa più festa che ci sia, porta con sé un retrogusto dall’amaro sapore che tende ad amplificare ogni forma di infelicità o di inciampo del cuore. Il Natale è la festa dei profumi e degli addobbi, dei ricordi e delle nostalgie, dei grandi e dei bambini, dei bambini che sono dovuti diventare subito grandi e che fanno due alberi di Natale, e dei grandi che vogliono rimanere bambini; delle coppie, delle famiglie e delle persone sole.
È una festività di rituali, ormai quasi tutti pagani, di cibo e di doni. Delle grandi tavolate e della solitudine imperante. (Quest’anno, purtroppo, è anche il Natale dei Dpcm, delle limitazioni e del coprifuoco!). Dell’armonia familiare e delle recite a copione.

Il Natale é la festa dei dolci fatti in casa, del profumo d’infanzia e dei ricordi, dell’albero pieno di addobbi, del presepe e dell’intimità dei sentimenti. Il Natale più che una festa è uno stato d’animo. Quando da adulti riusciamo a sentirci ancora un po’ così, è già un grande regalo della vita.

Spezzone di una consulenza

Amore, Natale e regali. Giorgina senza fede al dito e senza doni

Giorgina mi consulta a ridosso delle festività natalizie in preda a un triste bilancio esistenziale. L’uomo che ama non la sceglie, rimane a vivere in casa con i suoi genitori, le promesse fatte non sono mai state mantenute, inoltre, in tanti anni di relazione, non le ha mai fatto un regalo. Lo scorso anno, Alfredo, il suo fidanzato eterno Peter Pan, le aveva promesso che a seguito della sua promozione lavorativa avrebbero preso casa per una convivenza in previsione di un matrimonio imminente. Giorgina inizia a sperare che il suo sogno si possa finalmente coronare: aspetta paziente, e in cuor suo inizia a fantasticare la loro vita insieme. Alfredo temporeggia, glissa, scappa dalle sue domande che si fanno sempre più insistenti e richiedenti. Si alternano out-out e lacrime, minacce di abbandoni e abbandoni, scenate di gelosia e riparazioni. Subentra il Covid che diventa pandemia, seguono le difficoltà negli spostamenti, e Alfredo diventa sempre più evasivo e tiepido. Spende tanti soldi per le sue passioni come motocross, gite in montagna e sport con il suo allenatore personale. Conduce una vita da single pur stando in coppia, da eterno figlio che non ha nessuna voglia di diventare partner adulto. Per Giorgina mai un dono, una sorpresa, una cena al ristorante, un fiore. Diventa improvvisamente avaro, e avaro di progettualità. Adesso, alle porte del Natale, Giorgina crolla e mi raggiunge in studio con il cuore dolorante. Il prossimo anno sarà, per lei e per me con lei, un anno di chiarificazione e di rinascita. Con o senza Alfredo nella sua vita.

Il Natale è alle porte e i regali ci fanno pensare alle persone che amiamo: il partner, i nostri figli, i genitori, le persone care che ci sono state accanto durante tutto l’anno, gli amici. Così, il Natale diventa l’occasione migliore – o una delle tante – per trasformare i nostri sentimenti in cose concrete: i doni.
Del resto l’Amore è un dono che si nutre nel suo stesso donarsi, se viene imprigionato nell’egoismo e nella monigerazione, l’Amore muore.
La generosità è un elemento cardine che appartiene al sentimento elitario dell’amore, perché ogni cuore per continuare a battere ha bisogno di ricompense e di garbo.
Di generosità d’animo, di tempo, di spazio emotivo e anche economica.
 Il lato economico e quello affettivo scorrono, o dovrebbero scorrere, nelle stesse vene del legittimo proprietario.

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Secondo il modello psicoanalitico, il parsimonioso o avaro di doni, ha avuto un’infanzia complessa, con una figura materna poco nutriente, dispensatrice di regole e di controllo, ma scarsamente in grado di amare.

L’avaro o il parsimonioso tende, da una prima superficiale lettura, alla conservazione dell’oggetto, mentre si impegna per la sua distruzione, il suo possesso e controllo.
L’avaro non crede di soffrire di qualcosa, pensa invece di avere un valore in più e di improntare la sua vita, affettiva ed economica, nel migliore dei modi possibile.
L’avarizia o l’eccesso di parsimonia mal si sposa con l’altruismo che caratterizza l’amore, è invece legata ad un bisogno smodato di possesso dell’altro e degli oggetti e le cose. Chi vive con un avaro accanto vive male, anzi malissimo, e per le tesi vita o ricorrenze vive anche peggio.

Per Natale trasformare le emozioni in doni diventa la concretizzazione di un’emozione.
 I doni e i regali – piccoli, costosi, simbolici, acquistati o fatti da sé – rappresentano la parte concreta del sentimento: la traduzione in oggetti di emozioni e stati d’animo.

Attraverso il regalo doniamo parti di noi

Un oggetto, qualunque esso sia, é la rappresentazione concreta di quel vissuto, di quell’emozione, di quell’unico e irripetibile compleanno, Natale o anniversario.
Le rose lasciate essiccare e custodite dentro il nostro libro preferito, i bigliettini dei baci perugina ricevuti senza una ricorrenza ufficiale, la vecchia sciarpa infeltrita che aveva rappresentato un caldo abbraccio sono quei pezzetti d’amore che vengono poi riposti nella scatola dei ricordi sotto il letto o in soffitta.
Il regalo è quell’oggetto che consente di riportare alla memoria momenti importanti che abbiamo condiviso con la persona che amiamo.

Quando si è innamorati, il dono o il regalo rappresenta sempre un dono di parti di sé.
Viene pensato, immaginato e poi realizzato; scelto con grande cura, con note di ansia anticipatoria.
Con trepidazione, quasi apprensione, viene poi consegnato al partner amato, provando piacere nel dare piacere.

In alcune coppie, quelle dormite da contabili amorosi, c’è anche chi non fa mai regali o doni, perché li ritiene superflui o inutili, per una sorta di avarizia congenita camuffata da pragmatismo, appresa durante l’infanzia e mantenuta immodificata nel tempo. L’avaro non ha imparato a donare durante l’infanzia e considera il denaro e la sicurezza che ne deriva un sostituto dell’affetto e della stabilità che non ha ricevuto in casa. Chi dona, invece, spera di ricevere in cambio il piacere di chi riceve, il suo benessere e la luce nei suoi occhi; chi riceve ama essere pensato, e gradirebbe soprattutto che il dono avesse un significato simbolico e unico per lui. Il clima emotivo in cui il regalo viene acquistato è un clima molto particolare e magico: tra euforia, eccitazione e il bisogno di interpretare il desiderio dell’amato, oltre alle fantasie che si organizzano in merito al momento in cui il regalo verrà donato.


Il dono amoroso è sempre il perno delle proiezioni inconsce di chi lo acquista, in funzione dello stato d’animo, dell’amore e del momento storico di quella coppia.
 Tra i partner vige spesso la regola della significatività: il dono deve evocare la presenza dell’altro nelle loro giornate e vite, non è importante il valore economico, ma decisamente simbolico.

Vacanze e strategie di sopravvivenza. Christmas blues, la depressione natalizia

L’approccio alle festività è tra i più variegati e soggettivi, ognuno di noi, nel tempo, per prove ed errore, ha trovato la propria vacanza perfetta o perfettamente indolore.
C’è chi va via, chi esplora terre lontane per non sentire sulla pelle l’atmosfera natalizia, e chi resta.
Chi resta, solitamente, riunisce la famiglia attorno al tavolo o di fronte a un camino, addobba l’albero di Natale, e fa un inventario dei ricordi e dei rimpianti. Lo stato d’animo è dei più variabili e variegati. Sorrisi di circostanza, magari dei migliori, stress dell’ultimo momento ed infiniti parenti, talvolta mai visti prima, per festeggiare animosamente e rumorosamente una festività che di religioso, di spirituale e di intimo, ha smarrito le tracce.
Insomma, i rischi per la nostra salute psico-fisica sono tanti, soprattutto quello di sviluppare una nevrosi da felicità obbligata, o obbligatoria, e da forzata convivenza.

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Durante le festività i rischi di ansia e di depressione sono davvero elevati; aumentano anche i tentativi di suicidio e i suicidi.
Chi fa il mio lavoro, sa bene che durante questo periodo dell’anno aumentano in maniera esponenziale le richieste di consulenze (così come ad agosto) e gli SOS psichici.
 Questa sensazione di tristezza mista ad ansia, e deflessione del tono dell’umore, cammina sotto pelle e si chiama “Christmas Blues”, Tristezza di Natale.
Questa forma di depressione ha una durata variabile: da alcuni giorni – quelli del calendario dell’avvento – fino a poche settimane, e tende a sparire al termine delle festività e delle vacanze quando non c’è altro di grave o di irrisolto e quando i ritmi lavorativi si normalizzano e la fretta del vivere quotidiano torna a stordire e sedare il mondo interiore di tanti.
Il rischio depressione colpisce in maniera traversale, vediamo quali sono le persone più a rischio :

  • Chi non ha affetti
  • Chi non può condividere la festività con chi ama davvero (famiglie dilaniate dall’acredine, chi vive in altre città, i migranti e i clandestini, gli amanti che non possono trascorrere le vacanze insieme).
  • Chi rimane da solo, perché non ha risorse affettive, o é vedovo, o single o solo.
  • Chi fa tristi bilanci, e ha paura del tempo che passa (Natale, i compleanni e settembre sono i mesi topici per i bilanci esistenziali).
  • Chi ha vissuto un lutto, un tradimento, una separazione, o un abbandono.
  • Chi non sta bene economicamente, fisicamente o psichicamente.
  • Chi è infelice, triste, o immobile.
  • Chi ha un problema di coppia.

Sembra proprio che il Natale obblighi alla felicità obbligata, a indossare l’anima della festa, a gioire senza pensare, a pensare senza sentire.
Le coppie, soprattutto quelle in crisi da tempo, vivono il Natale con grandi tumulti dell’anima, come se fosse necessario mettere la felicità sotto l’albero.
Le coppie separate di cuore ma non di tetto vivono con maggiore sofferenza e tormento la loro situazione, il tutto amplificato dallo spirito Natalizio.

Questo suggestivo periodo dell’anno mette sotto i riflettori, o meglio appende alle pareti, unitamente agli addobbi natalizi, tutti gli aspetti irrisolti delle relazioni familiari e affettive.

E se ci regalassimo un po’ di felicità? La felicità questa sconosciuta

Quando ho iniziato a scrivere quatto articolo sul Natale, avevo pensato di scrivere un articolo sulle emozioni che tutti noi proviamo a Natale.
Avrei voluto parlarvi della Christmas blues, la depressione natalizia che talvolta ci colpisce se non siamo felici, senza affetti stabili, o impregnati di amori conflittuali e collerici.  Avrei voluto parlarvi delle fluttuazioni del tono dell’umore, e della bilancia, a cui andiamo incontro durante le feste. Dei parenti serpenti a cui dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco, dei regali obbligati e obbligatori, di quelli evasi o riciclati, di quelli mai ricevuti. Della solita invasione barbarica di messaggi e frasi fatte, che ci tempestano e ci raggiungono tramite email, social e whatsapp.
E invece, ho deciso di parlarvi di felicità.
Quella che non basta mai e che tutti noi vorremmo sapere dove e come andarla a trovare, almeno ogni tanto nella vita. La felicità sembra appartenere a quei concetti chimerici, astratti, irraggiungibili. Non stiamo parlando di un addominale obliquo da esibire con un jeans a vita bassa, di un bicipite ipertrofico allenato in palestra.
Non stiamo parlando nemmeno di un gluteo sodo che evoca le terre brasiliane e fantasie erotiche inconfessabili. Stiamo parlando di felicità.
Quella inafferrabile sensazione che dovrebbe camminarci a fianco e dentro qualunque cosa decidiamo di fare e qualunque persona decidiamo di tenere a bordo (o di estromettere) nella nostra vita. La felicità sembra essere evanescente e irraggiungibile; e nessuno ci insegna come essere felici.

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Quando siamo stati cresciuti a pane e responsabilità, con un Super Io ingombrante e ben nutrito, sarà faticoso occuparci di felicità. Soprattutto della nostra.
Se invece siamo stati dei bambini fortunati, figli di genitori attenti alla dimensione della felicità, possiamo allenarla sin da bambini; esattamente come se fosse un muscolo. (Attività che possiamo imparare a fare anche da grandi, in qualunque momento della nostra vita).
Possiamo renderla autonoma, svincolata dalle intemperie della vita, metterla sul podio delle nostre vite, ed evitare che venga sopraffatta e silenziata dal rumore del senso del dovere e dal frastuono del senso di colpa.
Possiamo imparare ad allenare questo muscolo ogni santo giorno delle nostre vite.

La felicità è responsabile del nostro comportamento e portamento. Dell’autostima e del buon umore. Della qualità dei nostri legami lavorativi e affettivi. Delle nostre scelte e non scelte. Dei nostri sbagli e del nostro reiterare negli sbagli.
Può arginare l’irritabilità e la scontentezza.
Se solo lo volessimo davvero, può accarezzarci al mattino quando ci svegliamo e può rimboccarci le coperte la sera quando andiamo a dormire.
Può venirci a trovare in sogno rendendo i nostri sogni unici e intensi, una lettera intima del nostro inconscio.
Possiamo portarla a tavola con noi, evitando così di rimpinzarci di cibi spazzatura o falsamente regressivi, parzialmente consolatori per un umore deflesso  o un cuore da rattoppare.
La felicità è quella bussola invisibile che ci fa scegliere il partner giusto, per evitare di accontentarci di quello sbagliato incontrato nel momento giusto della nostra vita, quando siamo vulnerabili o tristi.

La felicità è quell’energia che ci fa dire no a un lavoro precario. No a un amore a tempo determinato, pericolante o tossico. No a briciole di assenza e macigni di assenza tipici degli amori che non scelgono.
Insomma, è quella stella in tasca che ci fa distinguere quello che ci piace da quello che non ci piace, quello che ci piaceva un tempo da quello che non ci piace più, quello che ci fa stare bene da quello che ci uccide.
La felicità è un muscolo, e va allenata giorno dopo giorno. Non soltanto a Natale.

La felicità sotto l’albero, un regalo per sé stessi e per il partner

Il Natale non perdona. O entusiasma e fa scoppiare il cuore di felicità, o deprime sino all’inverosimile, e fa sprofondare in un malessere cupo e sordo.
Lo spirito natalizio, solitamente, riunisce le famiglie attorno a un tavolo, con a fianco l’albero di Natale stracolmo di lucine e di addobbi, di doni per i più piccoli e per i più grandi.
Sorrisi di circostanza, magari dei migliori, stress dell’ultimo momento, una fiumara di parenti in giro per casa che ci obbligano a indossare l’anima della festa. Chi, per tutta una serie di eventi avversi della vita, non può trascorrerlo con chi ama davvero, e chi è qua ma vorrebbe essere la.

Essere felici a Natale è davvero complesso.

Intimità, sessualità, tempo e vacanze di Natale

Inizia la corsa alla parcellazione del tempo libero: fare i regali, riposare, stare in famiglia e con il partner.
Festività vissute come se fossero un compito in classe, che si trasforma in una gimcana tra mille cose da dover fare. Obbligatoriamente. E della felicità smarriamo le tracce.
Il tempo libero che rimane dopo i pranzi, le cene, gli addobbi e i doni, dovrebbe essere dedicato all’intimità; quella che scalda i sensi e il cuore.
Il Natale è il periodo più romantico dell’anno, tra lucine, profumi speziati e doni, si fa cornice di una nuova voglia di amare ancora.
Quando non ci sono traumi pregressi o insoddisfazioni sotto soglia, siamo tutti più propensi ad amare e a fare l’amore.
Nessuna sveglia rompe il silenzio, e i risvegli diventano più morbidi e meno traumatici.
Il tempo si dilata e gli impegni si rarefanno, quindi, ascoltarsi e decidere cosa si vuole fare davvero e, soprattutto, con chi, diventa la strada maestra verso una buona intimità, sessualità, e perché no, felicità.
Ricordiamoci che la felicità è un muscolo, può perdere tono da un momento all’altro, conviene mantenerla in forma.

Auguro ai mie lettori un Natale ricco d’amore, di coraggio e di felicità.

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2 Commenti. Nuovo commento

  • Grazie di questo tuo bel lavoro, cara Valeria. Grazie anche per i tanti altri che ci hai regalato prima…
    Sempre limpido e profondo il tuo pensiero. Tante volte riferimento per riflessioni personali o condivise con amici o nostri colleghi.
    Grazie e un mondo di bene per te e per chi ami.
    Un caro abbraccio augurale.
    Felici giorni e sereni pensieri.
    Peppino

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