Il regalo di addio, la bellezza della fine

regalo di addio

Mai nessuno narra degli addii. Sono dolorosi, scomodi, ricordano il fallimento. E in un momento storico che aizza al perfezionismo, i fallimenti non sono ammessi e nemmeno raccontati. Alcuni autori scrivono o cantano dell’inizio di un amore, delle farfalle che svolazzano nello stomaco, altri delle separazioni e delle ricongiunzioni postume. Perché, in fondo, gli adii sono strettamente legati al dolore, alla perdita, a quel lutto straziante, subito o voluto, che regala notti insonni e lacrime copiose.

La morte di un amore

Quando finisce un amore abbiamo la tendenza a dare la colpa ad altro da noi. All’orco, al lupo nero, al narcisista, all’uomo che non sapeva amare, all’anaffettivo, alla poco di buono, all’altra, ma dell’incuria e dell’inedia a cui spesso si consegnano i legami amorosi nessuno sembra occuparsene. Guardare fuori e proiettare all’esterno è decisamente più semplice e anche comodo rispetto al rivolgere lo sguardo verso l’interno per analizzare le proprie mancanze o risorse silenti.
Quando un amore muore, sarebbe utile accompagnarlo in maniera graduale e dignitosa, con rispetto e affetto. Ma come ben sappiamo questo non accade quasi mai.
Ho sempre pensato che la fine di un amore non debba essere rappresentata da uno strappo, da una coltellata alle spalle, da un tradimento all’improvviso o da un abbandono lapidario e struggente.
Un amore che ha formato e forgiato alcune parti psichiche deve essere ringraziato con affetto e gratitudine. Sempre. Perché anche la fine ha in sé la sua bellezza.

Dalla sparizione al blocco alla civile elaborazione

Avevo già scritto in un precedente articolo dell’utilità di una lettera di addio, ma è un tema che torno a trattare perché gli adii e le separazioni continuano ad abitare il mio studio e a mietere vittime e strazi postumi.
La conclusione di un amore è quel percorso – perché è un percorso non un semplice blocco su Whatsapp che raccoglie le emozioni provate per quel partner, che fa un bilancio tra costi e benefici e che riconsegna il partner a sé stesso.
Una sorta di abbraccio intriso di gratitudine e di profondo affetto per quello che in fondo siamo stati e siamo diventati grazie al legame di coppia, a prescindere dal dopo. Le mode di oggi e le derive che diventano mode incitano al blocco immediato su WhatsApp, senza spiegazioni e senza preavviso, al ghosting, alla sparizione repentina dalla vita altrui, agli insulti efferati per velocizzare la fine di un sentimento (perché la rabbia aiuta a prendere le distanze emotive ma non aiuta la reale elaborazione psichica).

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Il ruolo dell’aggressività

Quando un amore si deperisce fino ad estinguersi del tutto, emozioni dirompenti come l’aggressività e la rabbia hanno un ruolo determinante perché aiutano a prendere le distanze dal sentimento provato. Da quel luogo caldo e intimo dove un tempo c’erano le labbra di lui, di lei, la sua pelle, il suo odore, il suo respiro. Elementi che rimarranno vividi nel ricordo, nella mancanza e nel tempo, talvolta per sempre.
Rimanere intrappolati dentro un sentimento di astio non aiuta la reale elaborazione del lutto e impedisce di andare avanti nel percorso di cicatrizzazione dei ricordi e di vita. L’utilizzo tanto abusato e altrettanto inutile della vendetta, della legge del taglione, del famigerato chiodo scaccia chiodo, degli insulti e manipolazioni varie per chiudere una relazione non aiuta né la chiusura né sé stessi.

Il regalo di addio

L’idea del regalo di addio mi affascina molto di più del regalo dell’inizio, quello di fidanzamento. Quando inizia una relazione, ci impegniamo ad esaudire i desideri del partner, a intercettare un desiderio e farlo diventare un dono, un’esperienza, una cena stellata o bio, un viaggio sensoriale dentro una spa, una magia.
I partner si impegnano a regalare fiori, raccolte di fotografie che narrino la loro storia, doni simbolici e pregiati. Nel tempo, con gli anni che passano, la noia regna sovrana e la sciatteria emozionale e relazionale consegna la coppia all’incuria e i doni, solitamente, si impoveriscono sino a svanire del tutto.

Spezzone di una consulenza

Cinzia e il suo regalo di addio

Cinzia (nome di fantasia) non voleva perdere il suo, che suo non era più, Riccardo. Lo aveva amato tanto e tanto male. Lo aveva inseguito sino a strapparlo alla sua ex fidanzata. Lo aveva portato a sé. Erano stati amanti, congiunti, ex, quasi ex, coppia litigiosa, separanda, separata, nuovamente ex, sino a sfiorare la dipendenza e la follia a due. Cinzia e Riccardo, nome di fantasia, non riuscivano ad essere coppia ma non riuscivano nemmeno a separarsi. Vivevano su una giostra volante continua e nevrotica che rendeva la loro vita scadente e le loro notti insonni. Avevano tentato di effettuare una terapia di coppia, ma occupavano lo spazio della seduta insultandosi, urlandosi contro, litigando in maniera esasperata senza riuscire ad elaborare i fatti e le emozioni che muovevano le fila dei fatti.
Poi, un bel giorno, Cinzia ha un incidente d’auto e rischia di morire. Era molto alterata, distratta alla guida, piangeva e aveva la lista annebbiata. Finisce fuori strada. Rischia di morire, ma si salva. E dopo due mesi dall’incidente, stretta nella morsa della paura, mi contatta e decide di iniziare un percorso individuale. Con grande fatica ed enormi resistenze iniziamo un percorso di introspezione, di conoscenza delle pieghe profonde della sua psiche e dei reali motivi che la tengono profondamente legata a Riccardo, o meglio, all’idea che lei aveva di Riccardo. Le sue carenze e le sue problematiche, come sempre, partono dalla giù: dalle terre dell’infanzia. Cinzia aveva avuto una madre iper presente e giudicante, e un padre algido e latitante, che aveva fortemente idealizzato. Pian piano, seduta dopo seduta, abbiamo messo fuoco le dinamiche che la spingevano tra le braccia tossiche e letali di Riccardo: la riedizione del copione del rapporto con il padre. Pian piano, Cinzia elabora i fatti, le emozioni, risana la distruzione del passato e inizia a vedere Riccardo con occhi nuovi: quelli dell’esame di realtà. Durante l’ultima seduta del mese di febbraio, al suo rientro da Parigi, mi racconta che ha acquistato un bellissimo regalo per Riccardo: un regalo di addio. Aveva compreso, grazie al percorso intrapreso, che serbare rancore per un rapporto malsano significava tenerlo in vita dentro di lei, e che lasciarlo andare dolcemente, con chiarezza e gratitudine era la strada migliore. Cinzia aveva acquistato in un prestigioso negozio d’antiquariato una bellissima clessidra antica, che simboleggiava il tempo che scorreva. Aveva scritto una lettera frutto della consapevolezza acquisita grazie alle sedute e gliela aveva donata con il cuore grato e non più addolorato.
Cinzia e io siamo ancora in cammino, ma la strada imboccata è quella giusta e Cinzia, per la prima volta nella vita, ha accantonato i sonniferi e i gastroprotettori e sembra essersi riappropriata del suo sorriso.

Chiusure a metà

Nel farraginoso percorso di chiusura emotiva ci sono anche le fini a metà, quelle intermittenti e fluttuanti. Le fini intermittenti sono pericolose e destabilizzanti. Tanti miei pazienti mi raccontano in seduta di amori che stentano a concludersi, che riappaiono dal passato, che bussano alla porta della psiche in momenti di fragilità del cuore o di fatica del vita.
I rischi di una relazione non perfettamente conclusasi, caratterizzata dai ricordi che non riescono a cicatrizzare, è la tentazione di continuare a guardarsi dietro con un pericolosissimo torcicollo emotivo che tenta a mantenere in vita la ferita senza farla diventare feritoia.

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La gratitudine

Quando l’amore muore, dobbiamo essergli grati per tanti motivi, a volte anche per la sua stessa morte.
Se un amore muore, solitamente, non contiene in sé gli ingredienti per diventare un amore longevo: o si tratta di un partner sbagliato al momento giusto o semplicemente la relazione si è intiepidita sino ad estinguersi e nessuno dei due hanno avuto la forza e la capacità di nutrire il legame moribondo. In entrambi i casi andare avanti anche da soli equivale ad avere smarrito il rispetto per quello che un tempo era la coppia, e per sé stessi.
Un amore in agonia, zoppicante, tenuto in piedi col respiratore artificiale non fa altro che prosciugare di energie psichiche entrambi i partner, non consente a nessuno dei due di riprendersi in carico quelle parti psichiche proiettate sull’altro, non consente di andare avanti rispetto il proprio percorso evolutivo e di vita. Consegna allo stress cronico, alla fatica del vivere, alle giornate buie.
Dire grazie a un amore che finisce significa fare pace con il passato e con il presente, per concentrasi in maniera coerente sulle risorse e non soltanto sulle mancanze.
Dirlo con affetto e con un gesto, come per esempio una poesia, uno scritto, un libro o un dono simbolico, significa chiudere i conti con il proprio passato amorose.

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