Nascita del primo figlio: emozioni, ansie e complicanze

Primo figlio anse e complicanze

Il primo figlio, come sappiamo, è una tappa estremamente simbolica per la donna e per la coppia.
È il sogno del concepimento che diventa realtà.
È la fatica che si fa corpo.
È l’attesa di nove mesi, e forse più, che si trasferisce tra le nostre braccia.
Diventare genitori non è facile, non è immune da fatiche e rischi.
È non si realizza sempre così tanto facilmente.

Dopo nove mesi – e anche di più di fantasie di concepimento e gravidiche – di dolce attesa e di nutrimento del bambino fantasmatico, finalmente, il  “parto”, momento di passaggio tra il fantasmatico e la realtà.
Rientrare a casa con il neonato in braccio, dopo la fatica del parto, passare repentinamente da due a tre, è forse tra le esperienze di vita più emozionanti e ansiogene allo stesso tempo. Quella piccola vita che stringiamo in braccio ci fa sentire al riparo e in pericolo. Dei leoni e profondamente spaventato. La sua totale esistenza dipende da noi. Soltanto da noi.

Immenso amore, tenerezza, sentimenti di protezione si alternano e intersecano a grande responsabilità.
La maternità viene nutrita dalla paura di non essere all’altezza e di non essere bravi genitori.
Questa tappa esperienziale ed emozionale è un percorso sconosciuto per mamma e bambino, entrambi non sanno bene a cosa andranno in contro, anche se istinto e ormoni, fiuto e intuito, dovrebbero fungere da bussola e aiutare la neo-mamma nel comportamento postumo.
Molte mie pazienti mi raccontano di non sentirsi all’altezza del compito, vengono colte da attacchi acuti di paura e di ansia: paura di perdere il controllo della situazione, paura che qual cosa possa sfuggire, paura della paura, il tutto amplificato dall’assenza del bagno ormonale, che ha accompagnato la donna durante i nove mesi di gravidanza.
Questo calderone di caleidoscopiche sensazioni è assolutamente normale.
La donna può essere rapita dal bisogno di isolarsi, anche dal partner, sobbarcandosi di fatiche immani e di grandi responsabilità.

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Perché accade questo con l’arrivo del primo figlio?

  • La donna non si sente capita
  • E ancora, si sente criticata
  • Tutti le suggeriscono cosa fare o cosa sarebbe meglio non fare
  • È stanca e vorrebbe seguire i ritmi e tempi del suo bambino
  • Sviluppa una efferata gelosia nei confronti del piccolo, non gradisce condividerlo con nessuno.

Quali differenze tra mamma e papà

La neo-mamma ha già vissuto per ben nove mesi insieme al suo bambino.
Felicemente da soli loro due, l’uno dentro l’altra.
Ha vissuto – in assenza di problematiche importanti –  un’esperienza unica e intensa, intima e profondamente riservata, rinforzata dai primi piccoli amorevoli calci del cucciolo nel ventre.
Questo storico sensoriale l’aiuta poi nella nuova relazione con il bambino.
Il neo-papà dovrà imparare tutto ex-novo.
Non ha, infatti, “memoria” alcuna della relazione, che sarà del tutto nuova.
Da creare. Da inventare. Da sperimentare, per prove ed errori.
Avrà paura di sbagliare, sentirà il legame come estraneo, almeno in una prima fase.
Questo nuovo rapporto tra il padre e il primo figlio va facilitato e veicolato.
Lo scopo è duplice: la fondamentale importanza che assume la figura paterna per la crescita del nascituro; per alleviare la neo-mamma da quote di fatica e ansia.
Molte mamme, subito dopo il parto, possono andare in contro alla famigerata sindrome post-partum, quella transitoria ma complessa fase, caratterizzata da un corteo sintomatologico che va dalla depressione, all’ansia, all’insonnia, alle frequenti fluttuazioni del tono dell’umore.
Gli “ormoni del benessere” correlati alla gravidanza lasciano il posto agli “ormoni della montata lattea”, che concorrono a provocare una tipica sensazione di tristezza.
Chiedere aiuto ai parenti, al medico curante e nei casi più severi a uno psicologo, non è una arrendevole strada da percorrere, ma rappresenta invece una valida strategia risolutiva per il benessere di tutti.
Lo psicologo aiuta la donna, o la coppia,  a decodificare il suo vissuto e le sue ansie, invece di renderle delle vere e proprie compagne di viaggio durante la nascita e l’accudimento del piccolo. La gravidanza e il
parto sono il vero miracolo della vita.
Averne cura, stare bene e goderne a pieno della gioia che questi eventi regalano, è un bene per la coppia e il bambino.
Chiedere aiuto agli specialisti non deve regalare vergogna, perché anche se tutti diventano genitori, farsi aiutare, ogni tanto, è un regalo che facciamo a noi stessi.

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3 Commenti. Nuovo commento

  • Spett.le Dottoressa Randone,
    scrivo perchè mi trovo, ormai da un anno e mezzo, in pieno blackout.
    Ho 33 anni ed il mio compagno 52. Nonostante la differenza di età, conviviamo da quasi 10anni e da 4 anni siamo genitori di un bellissimo bambino. È stato fortemente desiderato ma mai avrei immaginato fosse così dolce, sensibile ed intelligente. Oserei dire che mi è venuto proprio bene.
    Purtroppo i primi anni me lo sono goduto poco in quando, da 6 anni, abbiamo aperto un’attività insieme ed essere libera professionista e allo stesso tempo mamma non è stato per nulla semplice.
    Ho lavorato fino all’ultimo giorno, in ospedale avevo portato addirittuta l’agenda per fissare gli apputamenti. Una volta dimessa, insistevo per mentenere gli stessi ritmi di prima. Preciso di aver sempre avuto una mania del controllo ed è emerso anche nel percorso psicologico terminato 3 mesi fa, intrapreso dopo aver abortito nel settembre2019 (la motivazione degli incontri è sempre stata la gestione della mia rabbia).
    Quando ci penso mi sembra assurdo sia passato un anno e mezzo perchè il tempo sembra quasi essersi fermato.
    Con il mio compagno avevamo, quel mese, iniziato a pensare al secondo figlio, ignari del fatto che fossi già incinta. Una notte, mi sono svegliata di soprassalto presa dal panico nel realizzare che avrei potuto esserlo davvero e da quel giorno, fino all’intervento, non sono stata più la stessa. Avvertivo un peso enorme sull’anima. Desideravo tornar eindietro nel tempo anche se nonho mai capito cosa realmente mi spaventasse.
    E’ come se fossi entrata con la macchina in galleria (perdoni l’esempio un pò azzardato). Ad un tratto il sole era sparito e vedevo solamente tutto buio. Piangevo perchè sentivo che avrei dovuto separarmi dal mio primo figlio (probailmente da figlia unica non conoco bene le dinamiche di una famiglia numerosa).
    Temevo che si sarebbe chiesto, un domani, perchè avessi desiderato un altro quando avevo già lui.
    Ricordo che non mi guardavo mai allo specchio e non toccavo mai la pancia e questa sensazione non spariva. Sentivo che stavo regredendo, che i progressi fatti con il primo si stavano annullando in quanto, con un neonato, occorre ripartire da zero. Se ripenso a quel periodo, in effetti la fatica è stata tanta. Da sola in quanto il mio compagno era sempre al lavoro. L’allattamento misto, le colazioni lunghe quasi un’ora, i risvegli pomeridiani sempre con pianti. Eppure ha sempre dormito di notte, ma la sensazione era quella di non recuperare mai le energie (mentali). Ancora adesso fatico a programmare qualcosa. A breve dovrò sposarmi e ristrutturare casa, ma non ho ancora iniziato a pensare a nulla. Sono immersa nel lavoro e , quando sto con mio figlio dopo la scuola, non penso a nient altro se non alla sua merenda e al farlo giocare. Diciamo che , rispetto all’ultimo anno, alcune cose sono cambiate (in meglio).
    Ho una casa più grande, mi sono decisa a lavorare part-time e da casa. Ma sembra non bastare perchè ogni tanto, scoppio di rabbia. Il recupero è più veloce perchè cerco immediatamente di motivare come siamo arrivati alla discussione, ma questo aspetto di me proprio non mi piace e mi impedisce di essere una la tipica mamma “buona e dolce”.
    Ancora non riesco a mettere in atto i suggerimenti ricevuti e la mia paura, se dovessi avere un altro bambino, è quella di scoppiare del tutto chissà con quali conseguenze.
    Come posso aver questo tipo di paura? Come può un motivo di questo tipo impedirmi di diventare ancora mamma? Sono una brutta persona? Quando vedo un neonato provo molta tenerezza e immagino spesso a come sarebbe essere in 4. Sento le cosiddette “farfalle nello stomaco” immaginando i miei figli, più grandicelli, insieme che girano per casa.
    Cado ancora nell’errore dell’aspettativa che poi, immancabilmente, non corrisponde alla realtà. E non posso farci niente perchè il controllo sui bambini è impossibile averlo. Mi sento intrappolata nel tunnel e non riesco a mettere un punto a questa scelta. Decidere di fermarmi mi fa soffrire, non lo nego. Quando vedo famiglie numerose mi chiedo come facciano e in cuor mio un pochino le invidio perchè rappresentano ciò che avrei voluto per me, per noi. Il tempo passa e la decisione ancora non arriva ad essere definitiva. Se dovessi concentrarmi sul “adesso” direi di sì, facciamolo! Ma poi, quando ci provo , ecco che ritorna il panico che mi toglie il sonno. E’ uno stato d’animo reale? Un avvertimento? Mai vorrei che capitasse ancora ciò che è successo un anno e mezzo fa. Perchè per altre mamme, nonostante parlino più di me delle difficoltà e fatiche, avere il secondo è stata una decisione facile? Forse non amo abbastanza il mio ruolo di madre da doverlo ripetere?
    In cuor mio c’è una parte che pone resistenza, in tanti aspetti della mia vita. Probabilmente la paura di essere delusa, oppure il mio essere emotivamente infantile, ovvero, desiderare che vada sempre tutto bene, che tutti siano felici e sereni (l’ho desiderato tanto quando ero bambina, avere un ambiente famigliare accogliente ed amorevole).
    Ecco, forse, se mi sentissi davvero una mamma, come ho detto prima, accogliente ed amorevole, mi butterei.
    Eppure non nascondo che abbraccio molto mio figlio, lo bacio, gioco insieme a lui e gli ripeto sempre che lo amo. Ma sarà sufficiente?

    Rispondi
    • Valeria Randone
      6 Aprile 2021 19:21

      Gentile Lettrice,
      anche se lunga e dettagliata non è una consulenza, ma il suo racconto e per di più senza di lei, senza la sua coppia, le sue emozioni e tanto altro, di cui dovrei sapere per dirle qualcosa di sensato.
      Posso chiederle perché ha concluso la terapia?
      Forse sarebbe il caso di riprenderla se si è trovata bene con chi ha avuto il piacere di occuparsi di Lei o di cambiare se non conserva un buon ricordo.
      Sono scelte o non scelte davvero importanti e profonde, si tratta di “spazio” interno e di tanto altro.
      Non può risolvetelo così, scrivendo nel mio sito.
      Se ha bisogno di effettuare una consulenza con me chiami pure verrà richiamata appena mi sarà possibile; in caso contrario valuti di tornare in terapia dal precedente clinico.
      Un caro saluto

      Rispondi
  • Grazie Dott.ssa per avermi risposto.
    Mi rendo conto che non si tratta di un colloqui “vis a vis”.
    Mi sono rivolta a Lei anche in passato ed ho sempre trovato, seppur poche parole, ma efficaci.

    Il colloquio è terminato per il semplice motivo che, essendo un consultorio, dopo 10 incontri, la terapia si può ritenere conclusa.
    Nulla vieta di proseguire, cosa che ho fatto presente alla mia psicologa e che ha accolto.
    Speravo, scrivendoLe, di capire come mai mi sia infilata in questo tunnel che mi impedisce di agire, sia in un senso che in un altro.
    Mi sento paralizzata, ecco tutto.
    A questo punto, se non è un problema, Le chiedo gentilmente la possibilità di eliminare il commento, tenendo però la Sua risposta.

    Un cordiale saluto a Lei.

    Rispondi

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