Il demone del fare e lo spazio per l’inutile

Rientriamo nei nostri soliti e insoliti ritmi lavorativi, fatti di corsa contro il tempo, stress e postumi da vacanza. Quel luogo dell’altrove deputato (forse) al riposo assoluto, al digital detox, alla lentezza e alla noia. La presunta madre di tutti i vizi.
La capacità di annoiarsi però non è per tutti; non appartiene al nostro tempo bulimico e compulsivo. Sembra quasi che annoiarsi, rallentare, non postare, spegnete il cellulare sia addirittura controproducente. Per cosa poi, non è ben chiaro.
Alcuni di noi siamo ammanettati al fare. Quella trappola incredibile e ingravescente ereditata dagli insegnamenti genitoriali che ci obbliga a non perdere tempo. A considerare il tempo per te stesso uno spreco, per gli altri un dovere, i tempi morti un’assurdità, i tempi pieni una benedizione.
Anche quando siamo in vacanza, la nostra tanto meritata e agognata vacanza, e abbiamo una gran voglia-bisogno di riposarci, alcuni di noi veniamo colti da quel raptus micidiale e letale che ci obbliga al fare. Sport estremi, camminate all’alba anticipate da sveglie imprudenti e poco vacanziere, quel libro che non avevamo avuto il tempo di leggere e che adesso dobbiamo terminare, quel lavoro al computer – perché anche il computer va in vacanza, non nel senso che rimane in casa senza di noi, ma che si trasferisce nelle nostre valigie vacanziere – e così via, sempre senza tregua.
Abbiamo smarrito del tutto la capacità di annoiarci al meglio, perché il nostro rapporto con il tempo è complesso.

L’arte di non fare nulla

L’arte di non fare nulla non si impara da bambini, ed è ancora più complicato pensare di impararla da adulti. La dimensione adulta, solitamente, è incastonata dal senso del dovere e da tabelle di marcia ben scandite, con poco spazio alla noia e alla lentezza.
Nonostante ciò, abbiamo tutti bisogno di rallentare e anche di annoiarci.
La pandemia ci ha maltrattato parecchio e mentre lo faceva ci ha insegnato tanto, in maniera silente ma rumorosa. Ci ha obbligato a fermarci. E se in una prima fase di paura e di disorientamento stentavano a farlo, poi, un po’ alla volta, abbiamo assaporato i nuovi tempi e modi del vivere.
C’è chi si è trasferito in campagna, chi la deciso di lavorare da remoto, rimanendo in tuta con il naso affondato nei fumi di un caffè lungo e bollente, e chi ha compreso che la lentezza e la capacità di scegliere cosa tenere e cosa lasciare fuori da sé è un’opportunità e non una punizione.

Spezzone di una consulenza

Martina, il coprifuoco e l’adolescenza

Martina (nome di fantasia) è una mia paziente, e tra le prime cose che mi riporta in seduta al rientro dopo la prima chiusura è la sua felicità per questa nuova, assurda condizione di restrizione e reclusione. Martina era felice del coprifuoco perché grazie a queste direttive non imposte da lei, il suo rapporto tremendamente conflittuale con la figlia era migliorato.
Martina era stata una non amata e aveva riversato sulla figlia tutte le sue cure e mancanze, diventando la madre che avrebbe voluto avere.
La figlia, ribelle come tutte le adolescenti, aveva instaurato con la mia paziente un rapporto di amorevole ambivalenza. Il padre, invece, in questo gioco di triangolazioni e ferite d’infanzia, era un vero compagno di giochi della figlia. Non la rimproverava, non la redarguiva, i no erano del tutto assenti tra le sue labbra, mentre la ragazzina continuava a crescere sprovvista di quell’indispensabile autorevolezza paterna.

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Benvenuta noia

La noia non è la madre di tutti i vizi ma è una generatrice di idee e di creatività.
È la madre dell’ispirazione. Della fertilità del cuore e della mente. Generatrice di idee e di soluzioni, andrebbe coltivata, anche a giorni alterni. Per cultura e dictat ricevuti, abbiamo imparato a metterla al rogo come se fosse una sorta di mantide religiosa, colei che tutto divora: dai buoni propositi alle buone azioni.
Abbiamo paura degli spazi vuoti, del buio, delle giornate pericolosamente lente e immobili, delle domeniche e del mese di agosto.
Un altro tasto dolente anti-riposo e anti-lentezza è la tecnologia e il rapporto che abbiamo instaurato con lei.
La tecnologia avversa ma assolutamente indispensabile ci fa instaurare con lei un rapporto di amorevole dipendenza. Grazie a lei possiamo essere dappertutto, raggiungere chiunque: amori lontani e rogne da risolvere, la banca, lo studio, i parenti lontani.
Possiamo rispondere a uno o più e-mail o chattare con il commercialista per un problema improvviso. Così, mentre siamo rapiti da un’alba o da un tramonto non riusciamo a stare in sua compagnia e basta, assaporando le emozioni che ci regala, ma avveriamo rapidamente il bisogno di fotografarlo e postarlo da qualche parte, per poi andare a controllare subito dopo chi lo ho visto, chi lo ha commentato, chi ha lasciato traccia di sé, chi ha scritto.
Ed eccoci lì, rapiti da quell’effetto ipnotico dei social e del web mentre guardiamo attoniti il cellulare che non si illumina d’immenso.

Soluzioni anti-stress

Non sono certa che esistano soluzioni anti-stress attuabili per tutti, anche perché la capacità o meno di rallentare dipende dalle terre dell’infanzia e da quello che abbiamo o non abbiamo imparato e ricevuto come dote comportamentale e affettiva.
Personalmente, soprattutto da qualche anno, sto attuando le seguenti soluzioni. Ve le racconto, con me funzionano, spero siano utili anche per voi.

  • Dopo pranzo metto il cellulare in funzione off-line, così non squilla, non ricevo nessuna notifica e non mi sento in obbligo di dover leggere e anche rispondere. Lo riaccendo quando ricomincia il mio pomeriggio lavorativo.
  • Quando termino le ore di studio, a meno che non ci sia una reale urgenza, mi prendo una pausa di solitudine e riflessioni personali, e dopo, soltanto dopo, rispondo alle e-mail e ai messaggi del pomeriggio o della mattina appena trascorsi.
  • Se non ho urgenze o chat lavorative o affettive in corso, apro whatsapp tre volte al giorno, così non avverto quell’urgenza da spunta blu che mi invita a rispondere all’urgenza con l’urgenza.
  • Quando vado a correre o a camminare in campagna in compagnia dei miei cani lascio il cellulare a casa oppure lo utilizzo soltanto per appuntare qualche pensiero o riflessione e per fare qualche foto.
  • Quando vado in overdose da scrittura, abitualmente il fine settimana, silenzio il mondo esterno con il suo cicaleccio perpetuo e ascolto quello interno.
  • Il fine settimana utilizzo il cellulare e il tablet a intermittenza temporale, alternando la mia perenne attività lavorativa e di scrittura al giardinaggio, alla cura dei mie amati animali, ai cavalli, alla lettura, alla cucina. A quel lavoro manuale che ripara la mente e il cuore e che è un dispensatore di soluzioni e fertilità del pensiero.
  • Alle ore venti, cascasse il mondo, il mio cellulare si trasforma in zucca: viene rigorosamente spento sino al sorgere del nuovo sole.
  • Non so se questo vi aiuterà a rallentare, con me ha funzionato e continuerò a coltivare la lentezza nel rispetto dei miei più profondi ingranaggi del cuore.
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Perché a furia di fare e di esserci corriamo il rischio di smarrirlo il cuore.

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