quando amare spaventa

Nina (nome di fantasia) si era separata dopo un matrimonio infelice e vuoto. Era rimasta nella sua gabbia vuota per anni, senza accorgersi che fosse una gabbia, che fosse vuota e anche aperta. Ma lei stava lì, fedele al nulla: al vuoto, alla solitudine, alla sofferenza. Il marito era un uomo maltrattante. La ignorava e puniva con il silenzio, con la mancanza di baci e di cure, con lenzuola prima tiepide e poi assenti. Lo strazio nello strazio, che l’ha consegnata tra le braccia di un amante virtuale, forse peggiore del marito. Dopo mesi di chat di presunto amore, di foto audaci e promesse di intimità e di futuro, e dopo che Nina si era tecno-concessa, lui, il suo lui, più narcisista che mai, è sparito nel nulla aggiungendo dolore al dolore, vuoto a vuoto e paura alla paura. Nina, dopo l’inevitabile separazione, rimane chiusa nel suo bozzolo difensivo sbandierando l’arresa.
Aveva soltanto quarantadue anni, ma non voleva più amare.

Aveva paura. Siamo ancora in cammino, abbiamo finalmente dato una degna sepoltura al suo matrimonio che la minacciava e ricattava pur essendo già terminato, o mai iniziato. Abbiamo riparato le ferite narcisistiche dell’amante fantasma e virtuale, e siamo in cammino in direzione qualità di vita e felicità.
Il cuore di Nina è parzialmente riparato, ma i sorrisi e le notti di sonno fanno già parte della sua vita, e la paura sta lentamente lasciando il posto alla speranza.

I paurosi in amore. Cosa poter fare per andare verso l’amore

Nei paurosi, situazione ben diversa dagli infingardi del cuore, manca la fiducia di base, quella meravigliosa dote affettiva che si eredita o non si eredita dalle terre dell’infanzia. L’amore non è per tutti, molti lo temono, molti fanno finta di amare innamorandosi dell’amore, di sé stessi nel partner, ma non del partner. Quindi, non amando davvero.
Quando appare la paura, questa porta a inciampi relazionali e amorosi, ad accontentarsi, a essere eccessivamente prudenti, al confine con la paralisi del sentire e del vivere.
Da lì a breve si trasforma in sfiducia e poi in depressione, quel male oscuro che tinge di nero ogni emozione e azione; oppure vira verso una terrificante e paralizzante diffidenza: quella cronica, quella che isola e che consegna alla paranoia e ai meccanismi difensivi della psiche.
Dopo anni di solitudine subita – esiste la solitudine creativa e transitoria e quella difensiva che porta dipendenza -, di quel doloroso alternarsi di illusione e disillusione, di speranza e di abbandono, la voglia di amare ancora si fa paura e quindi paralisi del cuore.

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Mi capita spesso di ricevere in studio pazienti soli, più che single, che avrebbero voglia di amare ancora ma trovano sempre e soltanto partner sbagliati.
In realtà, si approcciano all’amore con il piede sbagliato: vige la dimensione del bisogno più che del piacere, cercano di colmare un vuoto affettivo che il passato gli ha lasciato in dote, e al posto dello spazio per l’altro hanno un vuoto, anzi, una voragine. Sembra proprio che i partner sbagliato siamo come le ciliegie: uno tira l’altro, sino a non distinguere più il male dal bene, il buono dal cattivo, l’amore dal compromesso del cuore.
Quando con i pazienti scoraggiati iniziamo un cammino fatto di ascolto e di introspezione, immediatamente cambia il modo di guardare: sé stessi, soprattutto, e il possibile partner.

La sicurezza in sé stessi è il luogo da cui partire e, solitamente, si costituisce in seno alla famiglia d’origine. Quel terreno fertile o infertile che determina la capacità di amare, essere amati, lasciarsi amare. Un genitore, o due, ambivalente o aggressivo, confondente o manipolativo – perché anche i genitori manipolano – possono minare dalle fondamenta la stabilità di un bambino che poi diventerà adulto e la fiducia di base. Un genitore che preferisce un figlio a un altro, consegna l’altro a un destino (se non elaborato e risolto) di dipendenza affettiva e di fame d’amore, oppure di alexitimia: l’uomo (o la donna) che non sapeva amare.
Un genitore che non è stato amato a sua volta e che adesso non sa amare, non trova le parole per dirlo, non conosce le carezze e i baci, non sopporta e supporta, rende il figlio un insicuro e un fuggitivo in amore. 

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I paurosi affrontato gli eventi difficili o dolorosi della vita imbevuti di passato. Lo usano a loro piacimento, come un alibi da indossare per le occasioni migliori, o peggiori per loro. Intrisi di abbracci evasi di un padre e di rimproveri di una madre. Indispensabili entrambi per non amare. Per i fuggitivi amorosi, quello che può attutite il presente è una buona dose di passato, così hanno la sensazione che dentro un ricordo non gli può succedere nulla, tantomeno amare ancora.
Utilizzano i vantaggi secondari dei sintomi e rimangono intrappolati e fermi nella palude del passato irrisolto. Provano affetto per i traumi e non hanno le risorse necessarie per attuare un cambiamento che invece spaventa e obbliga a una buona dose di fatica, perlomeno iniziale. 

È pratica usuale da parte di un paziente chiamare per prenotare, magari di sabato o di domenica, poi disdire o non presentarsi e riapparire un anno dopo perché i sintomi e l’immobilismo del vivere e del cuore hanno battuto dieci a zero la voglia di vivere bene e la necessità di cambiare. 

Lo sono ma non lo dicono: le menzogne del cuore 

I paurosi non sempre aprono il loro cuore e dicono di aver paura di amare o di essere felici, non esprimono la loro insicurezza, non la verbalizzano, proprio per paura, ma dicono che gli altri sono pericolosi. Che non ne vale la pena. Che gli uomini (o le donne) sono tutti uguali, che prima o poi verranno traditi, maltrattati, abbandonati.
Spostano da dentro a fuori il loro disagio più profondo: hanno paura.
In passato erano le donne che avevano paura delle ferite sentimentali, ora sembrano gli uomini i più inquieti e timorosi (infatti anche la loro sessualità è più disfunzionale di quella femminile).

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Le paure più frequenti sono: la paura della passione totalizzante, dell’intimità, della relazione, del tradimento, dell’abbandono.

Alcune persone vedono l’innamoramento come un fiume travolgente e inarrestabile, che stravolge gli argini psichici e che squaderna ogni certezza. Vedono nella passione un lato negativo, hanno paura di perdere il controllo delle loro pulsioni, baricentro, spazi privati. Vedono la passione e l’amore come una droga che crea dipendenza e non percepiscono nella passione l’elemento che può modificare e arricchire la loro vita in senso positivo. Alcune di queste persone spostano in maniera compensatoria la passione in altri campi della loro vita: nel lavoro, creando un’intimità sostitutiva al partner, nello sport che diventa estremo, nel cibo che consola, nella passione politica o calcistica; e mantengono il terrore nei confronti della passione sentimentale.
Continuano a considerarla la strada senza ritorno verso la perdita della loro libertà.

La paura dell’intimità si manifesta come una chiara confusione e fusione tra intimità e simbiosi. Molte persone temono l’intimità perché lì, in quel luogo del cuore e del corpo, si mostrano fragili agli occhi del partner. Per amare e per amare bene e a lungo, invece, bisogna stare alla giusta distanza dal mondo dell’altro: tra fusione e separazione. Soltanto in quel luogo di tensione emotiva può germogliare e non appassire per il troppo sole o la troppa acqua il sentimento elitario dell’amore.
La paura fa male al cuore e al corpo: ha sempre una valenza negativa e paralizza ogni possibile emozione. 

Un consiglio che mi piacerebbe darvi (anche se solitamente non si ascoltano mai i consigli e sarebbe meglio non darli): siate prudenti, abbiate cautela, ma non paurosi. La paura paralizza e non consente di esplorare paesaggi mai visti prima. L’amore ama i coraggiosi.

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2 Commenti. Nuovo commento

  • La mia analista è assente per maternità. Ed è stato questo, senza supporto, un periodo per me lungo e doloroso. Poi da qualche giorno ho preso l’abitudine di leggere il suo Blog. Ed è, mi creda, come ritrovare una casa…. Grazie.

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