Io scrivo, tra penne e riparazioni

Qualche anno addietro ero a Venezia a presentare uno dei miei libri. Era dicembre, mese già abbastanza suggestivo reso magico perché inzuppato nella laguna. Mi trovavo in un palazzo d’epoca dentro il comune di Venezia, uno di quei posti talmente sontuosi e prestigiosi che mentre ti seducono ti fanno stare sempre un po’ a disagio.
Ero ospite all’interno di una rassegna che si chiamava Amore e amori, in onore di Alberoni, e timidamente parlavo d’amore e delle sue pene.
Quando, dal fondo della sala, a bruciapelo, una donna psicoanalista mi chiese: “libro dopo libro, le piacerebbe di più essere chiamata scrittrice o dottoressa?”
Rimasi spiazzata e difesi il mio essere un clinico, titolo per il quale avevo faticato decenni.
Quattro anni e quattro libri dopo la mia risposta non sarebbe stata più così tanto imbarazzata e difensiva. Oggi, sono certa che avrei abbracciato il mio essere donna-clinico che sceglie di scrivere sempre.
Non credo che un’attività escluda l’altra ma che l’una potenzi l’altra mentre mi regala emozioni, chiavi di lettura, parole nuove e una nuova capacità d’introspezione. A volte per capire devo scrivere perché altrimenti rimane tutto nebuloso e sotto soglia, per sentire devo scrivere, per lavorare devo scrivere, e per scrivere devo lavorare e sentire.
Le parole che amo così tanto e a cui sono tanto grata, per chi ha scelto la scrittura come compagna di vita, sono dei mattoni. A volte ho la sensazione di guardarle compiaciuta come quando si guarda un figlio crescere, le tocco con lo sguardo come se fossero concrete, sento il legame che hanno tra di loro e con me. A volte mi acquieto solo dopo averle messe su carta (Word).
A volte, alcune di loro, le più prepotenti e invadenti, e solitamente le più vere, emergono di getto senza chiedermi il permesso, perché ne ho bisogno più che voglia, così le lascio lì, alla rinfusa, senza rassettare.
Poi le guardo da lontano, le accarezzo con la lettura e la sera rimbocco loro le coperte con nuovi pensieri e nuove emozioni.
Lo faccio ogni giorno, abito nuovi mondi, racconto storie, racconto le emozioni che provo quando accudisco un cane e lui mi guarda in fondo al cuore – e ringrazio La Zampa, La Stampa e La Repubblica per l’autorevole ospitalità -, quando riparo una coppia ferita, quando per parlare di gelosia e di tradimento vi racconto la storia di una coppia con le loro vite come le nostre, le loro fragilità e risorse. Perché parlare di gelosia e di tradimento e citare i sacri testi della psicologia, le nostre sigle o i nostri test sarebbe noiosissimo per voi e per me, e decisamente poco utile.
Con testardaggine, costanza e speranza cerco di costruire nuovi mondi, più rispettosi, più speranzosi, dove c’è spazio per l’amore, la fedeltà e il rispetto. Non so se ci riuscirò, ma mi fa stare bene crederci.

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