La signora sola e la coppia muta

Dopo tre dosi di vaccino, dopo aver compilato una documentazione complicatissima su tutta la mia famiglia e me, sia all’andata che al ritorno, dopo aver fatto un tampone molecolare, un tampone rapido appena giunta a destinazione e un ulteriore tampone rapido al rientro, mi sono concessa il lusso di una vacanza.
Dopo due anni di ansia e fatica e di viaggi esclusivamente lavorativi, questa vacanza ha avuto il sapore di un cibo pregiato mangiato dopo un lungo digiuno.
Ho assaporato tutto: ogni stante, ogni angolo, ogni foglia, ogni cinguettio. Ho osservato come se fosse la prima volta ogni viso, ogni smorfia, ogni raggio di sole. Le sensazioni provate, tutte, mi sembravano amplificate e inedite, come se stessi vivendo la mia prima volta di ogni cosa.
Provavo uno stato prolungato di meraviglia per quella vita così tanto maltrattata e per così tanto tempo messa in pausa che mi sembrava volesse tornare, che provavo gioia in ogni istante.
Nulla è stato dato per scontato, né le persone né i luoghi; mi sono convinta che per provare gioia bisogna prima passare dalla paura della perdita e dalle maglie dell’ignoto.
Durante la mia vacanza, accanto al mio tavolo, c’erano altri due tavoli così composti: una signora sola e una coppia muta.
La signora sola faceva colazione, pranzava e cenava da sola. La coppia muta faceva colazione, pranzava e cenava in compagnia del silenzio e di due cellulari sempre accesi.
La signora sola durante il giorno leggeva, passeggiava, si inebriava di natura e di tutto, esattamente come gli altri vacanzieri del resort. Non lasciava trapelare segni di solitudine.
La coppia muta durante il giorno leggeva, passeggiava, non si inebriava di natura e di niente perché sembrava altrove. Non lasciava trapelare segni di felicità e nemmeno di vita.
Pranzo dopo pranzo, la calma della signora sola e la mancanza di parole della coppia muta mi incuriosivano sempre di più e risvegliavano la mia parte lavorativa che pensavo di non avere messo in valigia.
Ho iniziato a cercare di carpire quali potessero essere i motivi che avessero spinto una donna durante le festività di Natale ad andare in vacanza da sola.
Aveva lasciato il partner? era stata lasciata? non aveva nessuno con cui andare in vacanza, un parente, un amante, un amico, altro? era scappata dal Natale un po’ come me? La osservavo con estrema discrezione e mi sembrava serena.
La coppia muta parlava alla mia parte più profonda da aggiustatrice di cuori. I due coniugi, con le loro due fedi ancora lucide al dito, erano amimici, monocorde, in bianco e nero, e nonostante tutto in vacanza. Mai uno sguardo dentro un altro sguardo, una mano su un’altra mano, una carezza, un sorriso, uno strillo. Soltanto sguardi smarriti nel nulla, altri nel piatto, e tantissimi un po’ più vivaci dentro i loro rispettivi cellulari.
Mi sono chiesta il motivo di questa loro vacanza: riposo? riparazione di antiche ferite? noia? bisogno di evasione? paura del Natale? tentativo di concepimento?
Mi sembravano così tristi, così rassegnati e forse ignari di così tanta rassegnazione; e intanto attorno a loro c’era la vita di cui sembravano non accorgersi. Quella vita messa in pausa dal virus, maltrattata, bistrattata; quella vita che per poterla ancora respirare e per essere lì, in quel luogo, avevamo dovuto maltrattarci le narici a lungo e anche a pagamento.
Alla fine della mia vacanza provavo un certo affetto misto a una certa ammirazione per quella signora sola così luminosa e serena. Quella donna che li, in quel luogo bellissimo, non aveva bisogno di niente e di nessuno, che elargiva sorrisi dietro una mascherina a chiunque, soprattutto a sé stessa. Era chiaro che era lì perché voleva esserci e non aveva bisogno di nessun altrove per vivere il suo presente.
La donna sola non sentiva la necessità di dover condividere quell’esperienza con qualcun altro per darsi il permesso di viverla; quel tramonto, quel cibo, quell’escursione c’erano e lei ne fruiva a pieno, a prescindere della compagnia che non aveva, perché lei era viva ed era in compagnia di sé stessa.
Ne ero più che certa, quella donna sola, imbevuta della sua solitudine natalizia – voluta o subita – e felice di esserlo, stava bene.
La coppia muta era talmente tanto dentro il suo mutismo, così tanto scollata dalle più profonde emozioni, ibernate o mai provate, che nessun tramonto o cibo speziato sembrava scomporli poi di tanto o timidamente commuoverli.
A fine vacanza provavo una chiara ammirazione per quel tavolo solo, imbandito per uno ma luminoso come se fossero in due. E una grande tristezza per quel tavolo per due abitato da nessuno dei due.

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