Caduti nella rete: la psiche e i 5G

5g

La tecnologia ci viene in soccorso per ogni necessità con il rischio di eliminare del tutto la relazione tra esseri umani, e relegarci in una condizione di solitudine relazionale.

Dopo l’uomo che sussurrava ai cavalli, abbiamo l’uomo che sussurra ad Alexa, la nuova amante-amica-assistente. Colei che a costi modici viene acquistata, sintonizzata con i nostri bisogni più profondi e inediti, e messa a tacere quando non abbiamo più bisogno di lei. Viene consultata per sapere che tempo fa, come se fossimo rapiti da una sorta di invalidità transitoria o colti da una pigrizia cronica, per farci ascoltare un po’ di musica, per parlarci del possibile traffico che incontreremo per andare a lavoro, per trovare il numero del nostro ristorante preferito, e così via. Perché lei sa tutto di noi. Necessità e bisogni. Paure e desideri. E, cosa ben meno impegnativa, non ci chiede nulla in cambio, non ci obbliga ad ascoltarla e nemmeno ad occuparci di lei. Ci dispensa dalla relazione.
Come tutto quello che soddisfa i nostri bisogni, anche Alexa può portare dipendenza e può farci abituare all’idea che una “voce amica” diventi una relazione.
Seppur virtuale, ma sempre una relazione. Il web ci seduce con il suo canto delle sirene, ci soccorre quando abbiamo fretta o siamo in panne, e ci regala l’illusoria sensazione di avere bisogno di lui creandoci dei falsi bisogni.
Io rimarrò un’inguaribile romantica, forse un dinosauro del funzionamento della psiche, ma questa corsa verso l’eliminazione dell’uomo e la dimensione relazionale dell’esistenza mi trasmette ansia e non poche preoccupazioni.

Le realtà ibrida, e il desiderio?

Tra noi e il web c’è uno stretto rapporto di amorosi sensi. Siamo diventati intimi, perennemente connessi. Entriamo in un negozio continuando a chattare o a parlare al telefono, ignorando l’interlocutore reale. Al ristorante si vedono sempre più spesso coppie ammalate di cellulare: non si guardano, non si parlano, non si accarezzano le mani. In compenso, guardano rispettivamente i loro cellulari, le vere scatole nere della loro psiche: li accarezzano, li accudiscono, cenano in loro compagnia, per virare verso un totale scollamento dalla realtà e dalla relazione.
L’era digitale ha dato vita a importanti cambiamenti negli individui, nelle relazionali e nel sociale. La nostra vita sembra regolamentata dagli algoritmi in maniera sempre più sofisticata; i cellulari e i computer sono diventati delle vere “protesi emozionali” e hanno raggiunto un tale livello di coscienza e di intelligenza che sembrano anticipare i nostri pensieri e desideri. O per lo meno ci tentano.
Tra i rischi di questa dipendenza psicologica da web, abbiamo la nuova realtà ibrida a cui tutti sembriamo anelare. Con l’avvento delle tecnologie di quinta generazione, il famigerato 5G, l’uomo e l’intelligenza artificiale daranno vita a una realtà ibrida, che da un lato millanta di migliorarci la vita e dall’altro crea delle nuove dipendenze. Aumentano le dipendenze da internet, da gioco d’azzardo e dalla pornografia; problematiche che attecchiscono in chi ha una personalità dipendente; quella sorta di fragilità psichica che obbliga a cercare una compensazione nelle più svariate sostanze – droghe, cibo, alcool, porno, shopping online – e negli stati eccitatori che regala internet.
Il rischio più grande di questa deriva relazionale è senza dubbio l’isolamento digitale.

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Il nomadismo digitale. La fuga quando non c’è via di fuga

Coniugare il funzionamento psichico con le linee guida del web è complesso, ma nonostante ciò il web sta lentamente modificando il nostro modo di pensare, di sentire, di agire e di desiderare. L’anima, o la psiche, può essere considerata come un palazzo a tre piani. Es, Io e Super io. Questa immagine molto evocativa, presa in prestito dalla psicoanalisi, dipinge egregiamente l’architettura della nostra psiche. Le tre istanze che abitano dentro di noi sono in perenne dialogo, talvolta si tratta di un dialogo muto, ma pur sempre un dialogo.
Alcune volte si ignorano e appaiono i sintomi, altre volte vivono in armonia, altre volte ancora vivono in un costante conflitto. I dolori, più esattamente quelli troppo ingombranti per la nostra psiche, vengono rimossi e vengono depositati, o custoditi, in taverna. Il luogo dell’inconscio. Durante i momenti di maggiore fragilità psichica – dopo un lutto, un abbandono, o semplicemente durante l’adolescenza – può capitare che questo arcipelago di parti psichiche venga colto da un nubifragio e appaia un fenomeno dissociativo.
Una sorta di via di fuga dal dolore quando non c’è via di fuga. La psiche non trova altre soluzioni anti dolorifiche e per sopravvivere alla sofferenza fugge altrove.

Quindi, vivere in equilibrio non è proprio facilissimo, e se da una parte internet ci semplifica e velocizza la vita, dall’altra ci sottopone a sollecitazioni continue. Talvolta pericolose per la nostra salute psichica. Le continue sollecitazioni a cui siamo sottoposti quotidianamente, tra web e vita online, se non ben gestite possono rappresentare un elemento di vulnerabilità per il nostro equilibrio psichico. La contemporanea richiesta di funzionare a livelli separati, il famoso multitasking o multi processualità, se da un lato ci rende simili alla Dea Indù, dall’altro penalizza la profondità del pensare e dell’agire.
La dittatura da vita online è l’equivalente di una cultura dissociativa. Siamo qui e vorremmo essere lì, dissociandosi dal nostro presente. Le continue finestre che apriamo online, ogni giorno, per vivere un’altra vita, per andare altrove, per lavorare o emozionarci, o semplicemente per evadere con la fantasia, possono prendere il sopravvento e farci disancorare dalla realtà. Un adulto che si adatta alla vita online – ma che in fondo non gli appartiene e ha uno storico di vita intensa off-line -, è esposto a una minore possibilità di rischio, un adolescente che nasce e cresce ben nutrito a pane e web, corre il rischio di perdersi tra il virtuale e il reale, con micro dissociazioni continue.
Le relazioni che i ragazzi instaurano, e noi adulti li stiamo emulando sempre di più, sono caratterizzate da una fragilità crescente.
Si tratta di relazioni senza corpo. Insieme si, anzi sempre più insieme, ma senza conversare, senza guardarsi e toccarsi. Gli adolescenti di oggi hanno lo sguardo fisso sul loro smartphone: interagiscono sempre meno tra di loro nel reale. Tra app e social abitano una vita parallela, dove trascorrono molto tempo (diurno e pericolosamente notturno), postano, condividono, sono felici o tristi, si corteggiano, si fidanzano e si dicono addio.
Le loro protesi meccaniche-emozionali, i loro cellulari, evitano l’esperienza del tatto e del contatto, favorendo un ritiro dalle relazioni reali.

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Chimera da iper connessione, certezza di isolamento

Il mondo ha smarrito la lentezza e la relazione. Ci stiamo abituando alla corsa e alla fretta, e la comunicazione digitale ci costringe a traslocare sempre di più dentro uno schermo.
C’è chi parla con whatsapp come se fosse un amico caro: i messaggi vocali abitano le chat senza che l’altro ci ascolti davvero, e senza rispettare il turno della comunicazione. Una sorta di dialogo tra muti, asincrono e lapidario. La magia della comunicazione, tra pause esitanti e parole piene, tra una voce che si modula in funzione delle emozioni altrui e il nostro mondo interno, si è smarrita del tutto lasciando il posto a una nuova intermittenza del dialogo, e forse anche del cuore.
Il web ha modificato anche il rapporto con la cura.
Le pagine Facebook vengono confuse per cartelle cliniche dove tutti parlano del loro privato come se fossero tra le quattro mura riservate e intime di uno studio medico.
I lettori che non sempre diventano pazienti sperano di fare terapia in chat, online, ovunque, tranne che in studio, unico luogo deputato all’ascolto e alla cura. Occhi negli occhi e psiche nella psiche. Cresce a dismisura la domanda di terapie online e, purtroppo, di chi le eroga a costi modici e a truffe esorbitanti. Il tema salute ci pone più interrogativi a più livelli in quanto la “cura della salute” non è mai disgiunta dalla persona sofferente e dal clinico che cura. Anche in questo caso, non si può rinunciare alla relazione.

Si ipotizza, anzi si farnetica, che l’intelligenza artificiale possa prendere il posto del medico che tocca e che visita, e dello psicologo che ascolta e che cura con le parole.
Il professionista con i suoi umori e malumori, con la sua infanzia bucherellata e rattoppata, con i suoi amori e le sue derive amorose rese risorse, con la sua formazione perenne e la sua analisi individuale cronica viene sostituito da un ipotetico software con competenze pseudo-psicologiche. Scelta che ci ammanetta a inedite e irrisolvibili questioni deontologiche.
La relazione che cura viene, o vorrebbe essere, trasferita in panchina.

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Ansia e depressione. Sempre più online, sempre più diffidenti e spaventati

La rete viene consultata da tutti, per tutto. Dalla ricerca di una vacanza con un costo contenuto alle ricette di cucina, per finire, alle più svariate problematiche di salute.
Psiche e internet, però, non sempre vanno d’accordo, e nessuna consulenza online potrà sostituirsi a quella de visu. I pazienti ansiosi, chi ha una struttura di personalità di tipo nevrotico e i pazienti ossessivi utilizzano il web in maniera maniacale e ansiogena. La rete diventa uno strumento infernale, che invece di fugare i loro dubbi e lenire la loro ansia, la nutre a dismisura. I pazienti insicuri, chi soffre di depressione utilizzano internet per non curarsi davvero. Lo confondono per una cura vera e propria, perché, in fondo, le resistenze alla cura li attanagliano all’immobilismo. Nel loro immaginario, avere richiesto una o più d’una consulenza online, equivale all’essere stati davvero in consultazione o in terapia.

Nel nostro lavoro, empatia, calore umano, ascolto profondo e relazione sono strumenti insostituibili, così la consulenza online, se pur facilmente reperibile, non si può sostituire all’incontro con il professionista. Può rappresentare il primo passo in quella direzione, ma non la cura. Nel caso poi, di problematiche sessuologiche – come per esempio la sempre più frequente fuga venosa, o deficit erettivo psicogeno da fuga venosa – diventa utopistico effettuare una corretta e scrupolosa diagnosi clinica senza un lavoro in team tra specialisti, così come è chimerico raccogliere notizie anamnestiche e la storia del sintomo, senza l’ascolto di entrambi i partner. Anche in questo caso, in funzione della delicatezza degli argomenti e della vergogna e censura associate a queste tematiche, il primo parziale consulto via email regala all’utente un ascolto competente, unitamente alla consapevolezza che anche di una vita sessuale disfunzionale se ne può parlare.

Conclusioni

Il web avvicina chi è lontano e distanzia chi è vicino. Nonostante ciò, quando viene utilizzato per creare e mantenere legami non è sempre da stigmatizzare.
La generalizzazione della rete, che di fatto la rende fautrice di mostruosità relazionali, di falsi legami e di un atroce isolamento, non sempre trova riscontro nella realtà.
Qualunque mezzo adoperato per facilitare incontri non elude la necessità di mantenere in vita i capisaldi di una relazione sana: autenticità, dialogo, lealtà, empatia, impegno, scambio e condivisione emozionale e concreta. De visu e in studio. Quando si adopera l’etere per eludere questi capisaldi della relazione, per essere ben altro da sé, (in psicologia viene detto “falso sé”) non è il web che deve essere demonizzato, ma andrebbe studiato il suo fruitore.
Bisogna spostare lo sguardo indagatore dal web alla persona e alle sue, proprie, modalità di utilizzo che portano a casi estremi di isolamento, di utilizzo compulsivo, esclusivo e alternativo alla relazione.

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