La stanza dell'adulterio

Vi racconto una storia e vi mostrerò una casa: la casa dell’adulterio.

Era venerdì. Erano le ore diciassette. Era il tempo per amare e per l’amore. Quello, solo quello, e niente altro.
Lui si chiamava Andrea e lei Anna (nomi di fantasia). Erano amanti, che più amanti non si può. Si erano incontrati in tribunale: lei era lì per caso, accompagnava un’amica durante il divorzio, e lui era l’avvocato dell’amica. Era austero e avvolgente; misterioso e affettuoso; gentile e burbero. Dall’eloquio e i modi raffinati e un po’ d’altri tempi. Aveva tutto quello che lei aveva sempre desiderato in un uomo.
Lei era timida e schiva, più volte maltrattata dalla vita, i cui esiti facevano ancora male al cuore. Non avrebbe mai pensato che quest’uomo così misterioso e autentico l’avrebbe rapita e riconsegnata a sé stessa.
Fu subito intesa, amore, passione, strazio. Diventarono amanti pur essendo liberi da legami ufficiali, ma adombrati da due passati estremamente dolorosi e ingombranti.
Fecero un patto di fedeltà e libertà. E lo mantennero a lungo.
Abitavano il loro amore di venerdì, soltanto di venerdì.

Il cielo in una stanza
Quella stanza, in quella casa, era diventata la casa dell’adulterio. Così l’avevano battezzata. Gli sembrava una provocazione, un attacco alla vita. Volevano sottrarre il loro amore alla noia, all’usura del tempo che tutto impolvera. Allo scontato. Volevano rimanere amanti: coloro che amano e che si amano.
Avevano fatto un patto che avevano intenzione di mantenere per il resto della vita, o per lo meno finché i loro cuori e i loro corpi avranno ancora voglia di stare l’uno dentro l’altro.
Non ci sarebbero mai stati altri incontri, né fortuiti né dettati dalla disperazione o dal bisogno. Non avrebbero mai consegnato il loro amore alla noia, alla fretta, alle cose concrete. Lo avrebbero protetto da tutto, anche dal bisogno.
Qualunque cosa fosse successa nelle loro rispettive vite ne avrebbero discusso lì, nella loro casa. Senza derive, minacce, abbandoni, gelosie.
Si sarebbero appartenuti per sempre. Avevano instituito un rituale d’amore e di segreta appartenenza. Ogni venerdì, avevano l’abitudine di acquistare un dolce prima dell’amore. Lui amava il caffè, lei il formaggio. Così, lui acquistava un buonissimo tiramisù, sempre lo stesso, sempre nella stessa dolceria, la migliore della sua città; lei una cheescake.
Era il loro rituale d’amore.

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Nella casa dell’adulterio, sempre il venerdì, sempre alle diciassette, il mondo – esterno e interno di ognuno di loro – veniva chiuso fuori casa e rimanevano soltanto loro, il loro divano con ai piedi un grandissimo tappeto bianco, soffice e accogliente, un piccolo tavolo e il loro letto con le loro lenzuola di seta color luce.
Era un’alcova, la loro alcova.
E poi c’erano loro: un’orchidea bianca e una vecchia sedia.
La prima fioriva ogni anno, nonostante le poche cure. Quando perdeva tutti i fiori avevano l’abitudine di metterla a dimorare accanto al divano: attraversava il suo inverno in silenzio e con pazienza e costanza tornava a fiorire. L’avevano battezzata Speranza. Era la testimonianza del loro amore.
La seconda, la vecchia sedia di legno intarsiato, era imbottita con un elegante velluto color oro, e stava lì, accanto al loro letto. Ospitava la camicia bianca di Andrea: di cotone d’inverno, di lino color écru d’estate. Ai suoi piedi c’erano sempre i saldali di Anna d’estate e gli stivali d’inverno. Anche questo era il loro rituale ordinato e propedeutico all’amore.

Il tempo per i sensi e per l’amore
Prima del tempo dell’amore c’era il tempo per i sensi, e il gusto era il loro preferito.
Imbandivano quel piccolo tavolo come se fosse Natale tutti i venerdì. Mettevano la tovaglia della nonna, i calici, le forchette d’argento. Tutto per due.
Mangiavano e ridevano, si baciavano e si raccontavano, avidi di sapere, di conoscere, di ascoltare le parole piene dell’amore, di esserci.
Questo sortilegio di fragranze rappresenta la quintessenza del desiderio, del loro straripante desiderio che nutrivano l’uno per l’altro.
Nessuno dei due voleva altro, nessuno dei due avrebbe voluto lo spazzolino accanto a quello dell’altro dentro quel bicchiere che prima o poi sarebbe diventato putrido, e avrebbe necessitato di una pulizia quotidiana e approfondita. Quel bicchiere che avrebbe puzzato di candeggina e non dei loro odori. Nessuno dei due avrebbe voluto mettere il proprio accappatoio sopra quella dell’altro, o viceversa. Nessuno dei due avrebbe dovuto ricordare all’altro di lavare la doccia dopo averla utilizzata, di asciugare il bagno, di non schizzare il vetro e di non lasciare la tavolozza del gabinetto all’insù, di portare fuori la spazzatura o di fare la spesa.
Nessuno dei due avrebbe voluto inzuppare il loro amore nel quotidiano. Nelle brutture di una vita che prima o poi avrebbe reso brutto il loro amore, o comunque lo avrebbe depotenziato di magia.
Avevano fatto un patto: di cuore di corpo.

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Finché il loro corpo e il loro cuore avrebbero avuto desiderio dell’altro, si sarebbero incontrati lì, ogni venerdì, alle ore diciassette, nella loro casa dell’adulterio. Senza chiedere niente di più all’altro, e in fondo a loro stessi.
Avevano ben chiaro che si trattava di una prova d’amore prolungata nel tempo, e sapevano bene che l’amore prima o poi avrebbe chiesto di più. Avrebbe chiesto il sabato sera, avrebbe chiesto il pranzo domenicale con i parenti o con gli amici, avrebbe chiesto una fede al dito e un mutuo. E forse anche un figlio.
Ma erano talmente spaventati e talmente realistici che sapevano bene che tutte queste cose da un lato avrebbero arricchito il loro amore, dall’altro lo avrebbero depredato. Non ci sarebbe stata più la torta del venerdì, l’amore del venerdì, la cura con cui avrebbero accudito il loro venerdì. Ci sarebbe stato altro di più importante, di più urgente, di più concreto rispetto al loro venerdì. Nessuno dei due avrebbe aspettato bruciando di desiderio quel venerdì e l’altro.
Ci sarebbe stata la sciatteria e la scontatezza, e dopo la scontentezza, e forse, l’adulterio.
La paura dell’abbandono era per loro un potente afrodisiaco – nessuno dei due era certo che l’altro sarebbe stato lì, nella loro casa dell’adulterio, il venerdì successivo -, e la normalità avrebbe trasformato il loro amore in scenari soliti: il pigiama con le pantofole, un telecomando in mano al posto della mano dell’altro, e la noia come compagna di vita e minaccia alla vita.

Andrea, la sua professione e le sue paure
Andrea, per professione, accompagnava alla morte il matrimonio altrui, facendolo passare dal patibolo e dallo strazio, della minaccia e dei colpi bassi. Aveva visto tanti bambini piangere e genitori noncuranti delle loro lacrime nonostante li avessero messi al mondo. Aveva visto zainetti e settimane alterne e bambini straziati da due genitori trasformati in due acerrimi nemici, dimenticando la memoria del loro pregresso amore.
Anche lui era stato un ex marito, un ex padre (perché la moglie gli aveva tolto tutto, anche l’amore e il rispetto dei figli) e pensava che non avrebbe mai più amato.
Aveva consegnato all’oblio la passione, alla rassegnazione la speranza. Alla fretta la sua vita da avvocato.
Non pensava che ci sarebbe più stato spazio per un venerdì, per un altro venerdì, e per un successivo venerdì. Ma quella donna così intensa e intelligente lo aveva legato a sé senza legami.

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Sono davvero felice che vi sia piaciuta, ho ricevuto tante email e consensi. Vi parlerò ancora d’amore in tutte le sue mille sfumature e paure, magie e follie. Vi racconterò ancora storie romanzate e spezzoni di consulenze, lasciando riposare in pace il linguaggio scientifico per usare quello del cuore che parla al cuore. Vi parlerò di sessualità e di cura, di infertilità e di bambini venuti dal freddo, e di tanto altro.

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8 Commenti. Nuovo commento

  • Non posso fare a meno di piangere leggendo questa storia carica di amore e di verità

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  • Anche noi avevano la nostra stanza.
    Dopo averla conosciuta, lei sposata io no, ho trovato un piccolo appartamento, era diventato il nostro porto, creato da me, apposta per noi, lei non doveva essere scoperta perché non voleva lasciare il marito.
    Quasi tutte le settimane, ci trovavamo, poi dopo tre anni i suoi sensi di colpa verso il marito, si fanno sempre più pesanti ed i momenti diventa sempre meno, fino a diventare una pausa.
    Oggi lei è in terapia, seguita da un suo collega dottoressa, e io non esisto quasi più.
    La capisco, la sua vita è con il marito, ed io un ricordo, l’unica cosa che mi chiedo, è se ogni tanto anche lei ripensa a quei momenti.
    Io, ogni volta, che rientro a casa, ed apro la porta, mi vedo sempre lei, che si fa coccolare da me, dopo aver riso e scherzato come due bambini, per poi spogliarla dolcemente, portarla tra le mie braccia, posandola delicatamente sul letto e lasciarsi andare alla passione, quella dove ti senti libero e non giudicato.
    È stato davvero molto bello e io nel mio cuore l’avrò sempre, per quei momenti che ha condiviso con me, una parte della mia vita indimenticabile.
    Anche i ricordi possono essere la stanza dell’adulterio.

    Rispondi
    • Valeria Randone
      30 Aprile 2021 15:49

      Grazie per il suo racconto.
      Certo, i ricordo sono la casa dell’adulterio. E anche di più.

      Rispondi
  • Ho subito un lungo tradimento e siamo riusciti ad elaborare lo shock. Abbiamo fatto terapia di coppia e siamo anche stati separati per un periodo. Ma abbiamo accolto le nostre diverse vulnerabilità e diverse sensibilità e abbiamo fatto un cambiamento radicale nella nostra relazione. Abbiamo ritrovato complicità, sesso appagante, desiderio di vivere insieme nuove esperienze e creare nuove memorie. Ci cerchiamo spesso se siamo distanti o anche al lavoro ed è come se vivessimo un secondo fidanzamento dopo più di 35 anni assieme.

    Purtroppo però mio marito non ha mai completamente smesso di comunicare con la sua ex. È finita tra loro quando, dopo aver scoperto alcuni messaggi sospetti, lui ha confessato che aveva una relazione parallela. La ex è anche una collega e ho intercettato messaggi recenti che indicano un’amicizia e una confidenza a cui evidentemente né l’uno né l’altra vogliono rinunciare. Lei è gravemente malata, a tischio di non venirne fuori e oggi, a causa della malattia, comprendo la necessità di essere in contatto. Ma perché non sono mai riuscita a spezzare completamente la loro complicità? A me sembra una reciproca dipendenza come una droga. Lui che ha paura a lasciare andare una persona che lo ha sostenuto a lungo e con cui ha ritrovato se stesso (grazie per la manutenzione!!) e lei sempre attaccata alla speranza che lui possa ancora tornare indietro perché vorrebbe la storia a lieto fine e sono certa, si accontenterebbe delle briciole ma con grande sofferenza.

    Andiamo d’accordo, abbiamo trasformato il nostro rapporto ma sento ancora questa ombra oscura incombere su di noi e SO che i loro contatti fanno male a tutte e tre le persone coinvolte. Non permettono di guardare solo in avanti perché LORO hanno ancora uno sguardo al passato.

    Come posso far capire a mio marito che trovo il loro tenersi in contatto inopportuno e un bastone tra le ruote della nostra relazione e dannoso per tutti e TRE? Perché loro due non riescono ad elaborare completamente il lutto di una relazione che non aveva progettualità? Sarei felice di un suo parere, dottoressa! Queste relazioni sono proprio delle droghe!

    Rispondi
  • Ma sei sicura Elisa che tuo marito non soffra di dipendenza emotiva da lei? Oppure siamo sicuri che lei non sia una narcisista che lo tiene in pugno?

    Piacerebbe anche a me un’opinione della Dottoressa Randone.

    Rispondi
  • Con tutto il rispetto per tutti gli studi sull’adulterio, con tutte le interpretazioni che fanno gli altri..
    L’adulterio vissuto da me, io donna sposta e lui uomo libero, è veramente straziante.
    Le scrivo piangendo.
    Grazie per i bellissimi racconti

    Rispondi
  • Finalmente mio marito mi ha detto di aver bloccato il numero di quella collega e ex amante. Si era dedicato da tempo a noi, alla coppia, alla relazione, ma il loro legame testardo li aveva fatti restare amici da lontano, perché in fondo era stata una donna importante nella sua vita, era difficile lasciare andare, resistevano degli inutili sparuti contatti protratti nel tempo, come a rivivere una presenza, finché un giorno mio marito ha visto in quel contatto il ricordo di un passato di cui non va fiero e dopo l’ennesimo messaggio privo di significato, l’ha finalmente bloccata. Non la vuole più sentire in nessuna forma, la vuole fuori dalla sua vita e basta.
    Piano piano tutte le pedine vanno al posto giusto.

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